Parlare di corruzione nelle diocesi, nelle scuole, negli ospedali, nelle periferie o ad alti livelli. Per cambiare mentalità e comportamenti di “corrotti e corruttori”, che spesso non si rendono conto di esserlo. La lotta alla corruzione è una delle grandi sfide del pontificato di Papa Francesco. Nel mese di giugno si è già svolto in Vaticano un Dibattito internazionale sulla corruzione organizzato dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, a cui è seguito un documento finale della “Consulta internazionale sulla giustizia, la corruzione e il crimine organizzato, le mafie” pubblicato ad inizio agosto, con linee guida per passare a gesti concreti. Tra queste, la possibilità di una scomunica ai mafiosi e ai corrotti. Nella Chiese locali già se ne inizia a discutere: il primo incontro sarà il 16 settembre nell’arcidiocesi di Monreale (Pa), con vari ospiti, tra cui il filosofo Vittorio V. Alberti, che ha scritto con il card. Peter Turkson – e la prefazione di Papa Francesco – il libro “Corrosione” (Rizzoli).
Come si approccia a livello filosofico il tema della corruzione?
Significa comprenderne il raccordo con l’idea di giustizia e capire cosa avviene nell’uomo. Dare cioè una chiave antropologica della corruzione, ossia una prospettiva più culturale.
La corruzione è una possibilità della vita molto radicale, è come il male. E va curata attraverso l’educazione e l’istruzione.
Da lì si può allargare a tutti i crimini che la corruzione genera. Spesso le persone non hanno idea che dietro al traffico di esseri umani o di organi ci sia dietro un fatto di corruzione. Dal punto di vista filosofico quello che mi sento di dire è che
la corruzione è una forma di ideologia
nella quale uno crede e si sente nel giusto. Ma non si pone neanche il problema morale se sia giusto o meno. Anche il clericalismo è una forma di corruzione del messaggio evangelico: divento idolatra dell’istituzione ecclesiastica e mi perdo l’orizzonte verso cui l’istituzione guarda, cioè Dio. Perdo la libertà e la ricerca complicata di Dio. Questo vale anche per chi non è credente: si può avere una idolatria dello Stato o della società, e perdere le possibilità di avanzamento dello spirito.
Purtroppo nella società emerge un sentire che legittima piccoli comportamenti di corruzione perché – dicono – “politici, amministratori, banche, assicurazioni… tutti rubano”. Come si contrastano questi atteggiamenti?
Nel momento in cui ci sono episodi che logorano la vita civile, individuale e collettiva, si interviene con la politica, con le leggi, con la repressione. Ma il problema gravissimo e difficile da risolvere è quello della mentalità e della cultura.
Oggi è fondamentale attivare modelli di comportamento: in politica, nelle professioni e in qualunque ambito deve emergere una condotta seria, non solo dal punto di vista morale ma intellettuale.
Quindi “corrotti e corruttori” non si rendono conto di esserlo?
Sì questa è la questione:
il corrotto o il corruttore sono persone che generalmente si credono più svegli degli altri
– Papa Francesco parlava di “trionfalismo” -, ossia assumono quella specie di superbia o spocchia per cui, se si è all’interno di questo circuito mentale, ci si sente più intelligenti e più in contatto con la vita reale.
Dietro c’è una visione dell’essere umano pessimistica: il mondo non cambia, l’umanità è pessima, per sopravvivere devi essere così.
Non c’è speranza. È una condizione radicalmente anti-cristiana.
Perché siamo così in Italia?
È una questione che parte dal Medioevo, dalla diffidenza verso le istituzioni e l’individualismo legato ad una sorta di paura nei confronti della sfera pubblica. Anche le mafie hanno una radice culturale seria. Si credono nel giusto, perché in origine c’era stata l’invasione da parte del Nord Italia. Sono tutte ragioni che andrebbero studiate. Corruzione deriva da cum-rompere, rompere insieme, cioè un corpo in natura che si logora. In fisica si dice che il corpo si corrompe e si usa la stessa parola per indicare la “bustarella”. Perché è in atto un processo di corrosione: vengono meno i principi fondamentali della convivenza e dell’educazione individuale.
L’anno prossimo ci sarà un nuovo incontro in Vaticano?
Speriamo di sì. Importante è avere gli input dai membri della Consulta e tenere in piedi il tema, che è un cavallo di battaglia del Pontificato. Se Papa Francesco ne parla così tanto vuol dire che la questione è globale ed è gravissima.
Noi dovremmo cercare di spiegare cos’è la corruzione e dare la misura della gravità fornendo delle chiavi di uscita.
La sfida di Papa Francesco è immane: cambiare menti e comportamenti. Quali saranno i prossimi passi?
Sì, è una sfida immane. Intanto dobbiamo aspettare che arrivino proposte ed idee. Aspettiamo indicazioni dalle Chiese locali e dai membri della Consulta. Il documento finale uscito il 1° agosto elenca i punti di lavoro che ci proponiamo di seguire. L’incontro di Monreale è la prima iniziativa organizzata da una Chiesa locale, ed è anche un luogo simbolico. Poi continueremo il lavoro sul territorio. E si dovrà ragionare in modo molto serio sul tema della scomunica ai corrotti – una proposta emersa dall’incontro e contenuta nel documento finale -, perché non è una questione semplice. Le vittime di tratta presenti all’incontro in Vaticano hanno già cominciato a proporre iniziative a livello di base: nelle periferie, nelle scuole, negli ospedali. Papa Francesco ha chiesto che le intenzioni di preghiera del febbraio 2018 siano dedicate alla corruzione, nel ricordo di don Pino Puglisi, per fare un raccordo tra crimine organizzato, mafia e corruzione. Che non è un rapporto automatico perché dove c’è mafia c’è sempre corruzione, dove c’è corruzione non c’è sempre mafia. Con Libera ci sono in campo una serie di idee, probabilmente realizzeremo iniziative con le scuole. Anche all’estero abbiamo avuto buoni riscontri, c’è attenzione e molta buona volontà. Speriamo si riesca ad andare avanti.