Giovanna Pasqualin Traversa
“Pensare e costruire culturalmente la riforma della Chiesa, ma soprattutto cominciare a sperimentare”. Con questo messaggio si concludeva un mese fa – il 25 agosto – a Camaldoli la Settimana teologica del Meic (Movimento ecclesiale di impegno culturale) sul tema “Forma e riforma della Chiesa. Idee e proposte per camminare insieme a Francesco”. Abbiamo incontrato il presidente del Movimento, Beppe Elia, che premette: “Nella Evangelii gaudium papa Francesco ha messo al centro la relazione fra missione e riforma della Chiesa. Ci sentiamo in grande sintonia con Francesco, ne condividiamo il radicamento conciliare, riteniamo con lui che occorra recuperare la centralità del messaggio evangelico, l’attenzione agli uomini e alle donne di oggi, nel loro vissuto quotidiano, con le loro fragilità e povertà”.
Presidente, su quali linee si sta concentrando il vostro lavoro di elaborazione e animazione culturale? Con quali prospettive?
Sono molte le piste di impegno. La prima riguarda lo studio della realtà di oggi. La difficoltà dell’annuncio nell’attuale contesto viene abitualmente spiegata con il processo di secolarizzazione. In realtà la dimensione spirituale non è andata smarrendosi ma si sta incanalando in direzioni che la comunità ecclesiale non intercetta, se non marginalmente. Capire la realtà significa per noi uscire da alcuni schematismi semplicistici, percogliere le attese e le domande non espresse, ma che esistono e richiedono un cambiamento di linguaggi, stile, iniziative.Vi è poi la questione della sinodalità, parola oggi un po’ inflazionata. Una Chiesa davvero sinodale richiede un grande impegno e un cambio di passo nel pensare e vivere l’esperienza comunitaria. Siamo lieti che papa Francesco abbia pensato ai Sinodi con un’apertura cui non siamo ancora abituati: la stessa idea di diffondere questionari a tutte le Chiese per raccogliere osservazioni, idee, proposte su specifici temi mette in discussione una tradizionale prassi del passato, che vede il laicato chiamato in causa assai raramente.
Occorre reimparare a prendere la parola,
con la consapevolezza che l’esperienza di noi laici, le nostre competenze, sono vitali per l’annuncio evangelico.
Costruire culturalmente e cominciare a sperimentare: che significa?
È necessario rimettere a tema alcune questioni concernenti la formazione dei laici (ma anche dei presbiteri).È sotto gli occhi di tutti che il laicato ha perso in questi ultimi decenni la sua capacità di elaborazione.Vorremmo esaminare con attenzione le ragioni di questo arretramento, sul quale anche la teologia dovrebbe riflettere. E non è un tema teorico, perché sullo scoglio di un laicato poco disponibile al rinnovamento e alla sperimentazione rischia di infrangersi l’azione riformatrice di Francesco. Ci pare urgente comprendere quali forme ecclesiali possiamo pensare e realizzare perché la parrocchia attuale non può reggere l’urto di un mondo che sta rapidamente mutando ed anche le forme associative rischiano, se non ripensate, di offrire un modello aggregativo inadeguato e poco attraente. Bisognerà ritornare anche sul tema dei ministeri, con una attenzione: che non si pensi a nuovi ministeri (ad esempio il diaconato femminile) con l’obiettivo di coprire il vuoto lasciato dalla diminuzione di sacerdoti ordinati; è in causa non il semplice aggiornamento di un modello organizzativo, ma un progetto di Chiesa.
Alla luce dei ripetuti inviti di papa Francesco e di fronte alla complessità dell’attuale situazione politico-economico-sociale di un Paese che chiede risposte concrete a disoccupazione, povertà, ingiustizie, illegalità, a quale compito sono chiamati i laici?
Credo che non solo i cristiani, ma tutti coloro che hanno a cuore l’esigenza di evitare il rischio di disumanizzare i rapporti fra le persone e fra i popoli, sentano che papa Francesco rappresenta una voce autorevole, ma perlopiù inascoltata. Purtroppo anche nel cosiddetto “mondo cattolico” si vanno estendendo forme di intolleranza (anche se non proprio di razzismo) rivelatrici di una debole capacità di analisi dei problemi e di una formazione che non si fonda sulla rigorosa riflessione sul Vangelo.È assolutamente essenziale – se vogliamo dare credibilità al nostro essere cristiani – che generiamo luoghi e momenti per studiare e approfondire;ad esempio un documento come Laudato si’ dovrebbe essere oggetto di lettura attenta, discussione ampia, momenti formativi diffusi.
Quali strumenti concreti mettere in campo per un vero “impegno dal basso” che riesca a ricompattare un tessuto sociale sfilacciato e a rischio strappo?
L’ “impegno dal basso” del laicato credente presuppone una sua capacità di leggere le situazioni e di interpretarle, senza attendere sempre la parola o l’invito di un vescovo o del Papa. Non bastano le scuole di formazione politica e sociale; occorre un’azione più capillare.Lo sfilacciamento del tessuto sociale è figlio di gravi inadempienze della politica, ma anche di un ritrarsi da parte di chi, come i cristiani, dovrebbe sentire la responsabilità evangelica di fare spazio ai poveri, creare un clima più fraterno, esprimere uno stile di mitezza.
La scorsa primavera, nell’incontro per i 150 anni dell’Azione cattolica, il Pontefice ha chiesto ai cattolici di “entrare in politica”, in quella con la P maiuscola…
Il Meic ha raccolto questo invito nella sua Assemblea nazionale di giugno ad Assisi. Pur essendo evidente che un’associazione ecclesiale non può confondersi con un soggetto politico, abbiamo tuttavia condiviso l’esigenza di dedicare questo triennio ad una iniziativa culturale, che non sia limitata unicamente alla nostra associazione, ma si apra alla collaborazione con altre realtà (ecclesiali e non). Obiettivo,
rigenerare la politica
con un confronto che non sia condizionato dalla preoccupazione dei successi elettorali, ma si muova in una prospettiva di lungo termine e assuma seriamente le criticità che tutti stiamo sperimentando.
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