Ingannata, resa schiava, costretta a vendere il proprio corpo: quella di Blessing Okoedion, ragazza nigeriana di 31 anni, è una storia di dolore, ma anche di speranza perché ha trovato la forza di uscire dall’inferno della prostituzione, una trappola in cui ogni anno finiscono migliaia di sue connazionali.
Soltanto nel 2015 sono state oltre 5 mila le donne nigeriane sbarcate in Italia con la promessa di un lavoro che permettesse loro di vivere dignitosamente e di aiutare la propria famiglia rimasta in Africa.Invece, una volta qui, molte hanno imboccato la strada del mercato del sesso, arricchendo le tasche di trafficanti senza scrupoli, che le tengono in pugno attraverso minacce e ricatti.
Poche riescono a uscire da questa spirale di sfruttamento.
Blessing è una di queste e, una volta libera, ha deciso di raccontare la sua storia sia per tendere la mano ad altre vittime della tratta, sia per aprire gli occhi a noi cittadini italiani sui drammi che si consumano sulle strade delle nostre città.
Impossibile restare indifferenti di fronte alla sua testimonianza, come hanno avuto modo di sperimentare i partecipanti al meeting del Gruppo missioni Africa di Montagnana.
Domenica 10 settembre, infatti, la trentenne ha raccontato la propria storia spiegando che per lei “aprire la bocca è un modo per spezzare un’altra catena”. La sua testimonianza è diventata anche un libro – Il coraggio della libertàscritto insieme alla giornalista Anna Pozzi – dove Blessing descrive non solo l’incubo di cui è stata prigioniera, ma anche ciò che le ha permesso di superarlo per tornare a sognare da persona libera.
Tutto iniziò nel 2013, quando la ragazza incontrò una signora che frequentava la sua stessa chiesa nella città di Benin City, dove Blessing aveva aperto un piccolo negozio di computer dopo aver ottenuto una laurea in informatica.
A dire il vero, il suo sogno sarebbe stato studiare medicina, ma la sua famiglia non poteva permettersi di pagarle quella facoltà. La signora le aveva offerto un posto di lavoro in Europa, nel negozio di elettronica del fratello. Blessing, pensando si trattasse di una grande opportunità, accettò, incoraggiata anche dai genitori e confidando nelle buone intenzioni di quella donna tanto devota.
La sua destinazione avrebbe dovuto essere la Spagna, invece fu dirottata in Italia, dove ad attenderla non c’era nessun negozio di computer, soltanto il marciapiede: Blessing era caduta nelle mani dei trafficanti, che le rubarono i documenti per evitare che scappasse, dicendole che doveva saldare un debito di 65 mila euro.
“Sapevo che esistevano i trafficanti – spiega Blessing – ma era una cosa che non mi riguardava, non avrei mai pensato di poter essere una vittima. Ancora oggi mi chiedo come abbia fatto a essere così ingenua e sprovveduta”. Sulla strada una donna già esperta le insegnò il mestiere.
“Mi hanno tolto il nome, dandomene un altro – racconta – mi hanno detto che dovevo attirare i clienti con il sorriso, ma dentro di me c’erano lacrime e una voce che gridava per essere liberata. Io mi vedevo già morta sulla strada perché non ero più io, ero solo una merce”.
Nelle mente di Blessing si affollavano mille domande: perché quella donna cristiana voleva distruggere la sua vita? Come poteva liberarsi dalla schiavitù che la opprimeva? A chi doveva chiedere aiuto?
Le altre ragazze che erano costrette a prostituirsi per le strade di Castel Volturno, in provincia di Caserta, le ripetevano che prima o poi si sarebbe abituata a quel lavoro. Ma Blessing non poteva accettarlo.
Così, aggrappandosi ai valori che le aveva trasmesso la sua famiglia e alla fiducia in Dio che non era mai venuta meno nonostante le difficoltà, dopo quattro giorni passati sulla strada, ha trovato il coraggio di denunciare i suoi trafficanti alla polizia.
Una volta spezzate le catene che la tenevano soggiogata, restavano tante ferite da ricucire:Blessing non si fidava più di nessuno, ma le suore di Casa Rut, a Caserta, con il loro amore incondizionato l’hanno aiutata a ritrovare la fiducia in se stessa e a ricominciare una nuova vita.
“C’è voluto un po’ di tempo per liberarmi dalla rabbia che avevo dentro – racconta la ragazza, che adesso lavora in Italia come mediatrice culturale – ma Dio ha usato una persona straordinaria come suor Rita per liberare me. Sentivo che anch’io dovevo fare qualcosa per gli altri. Dovevo aprire la bocca perché mai più nessuna donna potesse pensare di non avere nessun’altra alternativa rispetto a quella di essere schiava”.
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