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Monache Clarisse: “Un Dio vendicativo? Un Dio padrone? No”

DIOCESI – Lectio delle Monache Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto sulle letture di domenica 8 ottobre.
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«La vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele; gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione preferita». Nella Parola di questa domenica torna l’immagine della vigna e, con essa, l’amore, la passione del nostro Dio per il suo popolo, la sua storia, la sua vita. Un amore ed una passione talmente grandi da porre in essere ogni tipo di cura, di attenzione per questa vigna.
Scrive il profeta Isaia di una vigna posta da Dio «sopra un fertile colle. Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino». Aggiunge il salmista: «Hai sradicato una vite dall’Egitto, hai scacciato le genti e l’hai trapiantata. Ha esteso i suoi tralci fino al mare, arrivavano al fiume i suoi germogli».
Ancora, Gesù nel Vangelo racconta di un terreno in cui un uomo «piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre».
«Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?», si domanda il Signore: nulla in più, tanto è stato fatto in termini di cura, premura e tenerezza.
Ora tutto è pronto: Egli può affidare questa vigna all’uomo, può mettere ogni cosa nelle sue mani!
«Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi». C’è un fare di Dio che attende da parte della vigna, di Israele, dell’uomo, un fare frutti adeguati. Non in termini di un budget da raggiungere, ma nei termini di una relazione che doni fecondità, che risponda all’amore con l’amore!
Ed invece, l’uomo cerca di togliere a Dio il volto di un Signore buono e misericordioso per costringerlo nella maschera di un despota. Un uomo che vuole diventare lui stesso dio della propria vita, che rifiuta, addirittura uccide, i tentativi che Dio pone in essere attraverso i profeti prima ed il proprio Figlio poi, di recuperare la relazione con lui.
Una storia, una vita che non si nutre di un’alleanza di amore non riesce a produrre frutto.
«Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia».
Addirittura «…ne fa vendemmia ogni passante…la devasta il cinghiale del bosco e vi pascolano le bestie della campagna».
Ancora: «…darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
Un Dio vendicativo? Un Dio padrone? No, perché, nel momento in cui, come scrive San Paolo «quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode», non è «oggetto dei nostri pensieri», inevitabilmente la nostra vita diviene sterile, non uva matura ma «acini acerbi», una vita non di pace e nemmeno in pace.