La grande e imprevista mobilitazione della società civile, in Brasile e all’estero, ha ottenuto un primo risultato: è stato (provvisoriamente) ritirato il decreto presidenziale che cancellava in un colpo solo la Riserva nazionale del Cobre e territori associati (Renca), un’area grande quanto la Danimarca e più vasta della Svizzera, nel nord del Brasile, negli stati del Pará e Amapá, ai confini con la Guyana francese. La regione ingloba al suo interno ben nove aree o riserve indigene, finora protette integralmente. Chilometri e chilometri incontaminati: foreste, fiumi, niente strade. Non mancano però tracce umane, anche se difficilmente visibili sulle mappe: minuscole piste di atterraggio, strade appena tracciate. Sono le teste di ponte dei “garimpeiros”, i cercatori clandestini d’oro e di altri minerali. Ma su quei luoghi hanno da tempo messo gli occhi le grandi imprese estrattive cinesi e canadesi. E non molleranno facilmente.
Così, tra coloro che stanno conducendo questa battaglia “in loco”, prevale l’impressione che quella ottenuta sia una vittoria importante, ma fragile e precaria.Tra questi spiccano due vescovi di origine italiana: il salesiano cuneense donFlavio Giovenale, vescovo di Santarém (Pará) e il bresciano fidei donum dom Piero Conti, vescovo di Macapá (Amapá). Gran parte del territorio della Renca è dentro i confini delle due immense diocesi. Da non molto lontano, ai confini tra Maranhão e Pará, segue la vicenda con apprensione il missionario comboniano Dario Bossi, tra i principali animatori in Brasile della Repam (che è intervenuta sulla vicenda con un durissimo comunicato) e della rete Iglesias y Minería.
Temer sorpreso dalle reazioni interne e internazionali. Proprio padre Dario Bossi inquadra la questione della Renca nell’attuale contesto brasiliano: “Il Governo Temer sta approvando in gran velocità riforme che cancellano quel poco di stato sociale che c’era, ma la società civile appariva silenziosa, rassegnata, disillusa anche a causa degli scandali per corruzione. Qui invece la reazione è stata fulminea e fortissima, tanto da costringere il Governo ad una temporanea marcia indietro: prima è stato detto che il decreto sarebbe stato riscritto, poi il provvedimento è stato bloccato da un magistrato, nel frattempo anche il ministro dell’Energia della Cina ha bloccato le richieste per 120 giorni, promettendo un dibattito più ampio”.
Ma padre Bossi resta perplesso: “Non ci è stato detto come avverrà la consultazione delle popolazioni locali, il rischio è che ci venga riproposto con poche modifiche.
Gli interessi della lobby mineraria internazionale sono fortissimi.
Da una parte i cinesi stanno avanzando in Amazzonia, con miniere e coltivazioni di soia, dall’altra ci sono le multinazionali soprattutto canadesi. Fatto sta che dal 2012 il disboscamento dell’Amazzonia è tornato a crescere”.
Se la volpe arriva nel pollaio. Da Santarém, dom Flavio Giovenale resta preoccupato: “Il Decreto è per ora sospeso, i 120 giorni scadranno proprio la settimana tra Natale e Capodanno. I tempi sono sospetti. Certo, a Brasilia il Governo Temer è molto debole, ma in Parlamento la lobby dei proprietari terrieri è fortissima. La mia previsione è che alla fine libereranno una parte della riserva. Dicono dal Governo: così eliminiamo i clandestini… Le esperienze del passato però insegnano, è come mettere la volpe nel pollaio…”.
Dom Giovenale è stato colpito dalla reazione locale e delle popolazioni indigene:“E’ una cosa che non possiamo accettare, hanno detto in molti. Ed hanno contattato la Chiesa”. Pesa, in questa fiducia, anche l’enciclica Laudato Si’.“Prima questa attenzione all’Amazzonia era considerata qualcosa di periferico, ora la coscienza ecologica è diventata un caposaldo. E poi il Papa sottolinea che il creato si difende con la popolazione. E’ quella che il Papa chiama ecologia integrale”.
Dell’Amazzonia si può vivere. Anche il vescovo di Macapá, dom Pietro Conti, riflette sulle grandi potenzialità dell’Amazzonia: “Non è un mica un museo, dell’Amazzonia si può vivere, ma bisogna farlo con intelligenza. Il legname si potrebbe tagliare, ma in modo tale da non distruggere la foresta. Ci sono prodotti ricercati e remunerativi. Nella riserva del Cajari vivono della castagna del Pará, nella foresta si possono ricavare essenze preziose per chi produce cosmetici. Invece, se si aprono delle miniere servono anche le strade per raggiungerle, le abitazioni per chi ci lavora, si distrugge e si sfrutta il territorio. Noi nell’Amapá abbiamo l’esperienza di qualche decennio fa, con lo sfruttamento del manganese… Poi il prezzo del minerale è crollato, le miniere sono state chiuse e la zona è stata abbandonata. In Amazzonia finora tutti arrivano, prendono, e portano via… Non rimane più nulla. Anzi rimangono i veleni, come quelli a base di cianuro che si usano per l’estrazione dell’oro, o come i prodotti chimici usati per sbiancare la cellulosa”.
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