“L’Unione europea non è un organizzazione internazionale ‘classica’, tra Stati sovrani. Il preambolo del Trattato di Roma del 1957 evoca ‘una Unione sempre più stretta tra i popoli europei’. E l’obiettivo comune è di ‘migliorare le condizione di vita e di occupazione dei cittadini’. I cittadini hanno dei diritti, possono rivolgersi alla Corte di giustizia per tutelarli, sono rappresentati al Parlamento europeo. Sono in teoria – e devono essere in pratica – al centro della costruzione comunitaria”. Sylvie Goulard, francese, economista e saggista, consulente di Romano Prodi alla Commissione di Bruxelles, a lungo eurodeputata e per un breve periodo ministro della Difesa in Francia subito dopo l’elezione di Emmanuel Macron all’Eliseo, è una voce stimata negli ambienti cattolici (era stata relatrice anche alla scorsa assemblea plenaria della Comece, l’organismo che raccoglie gli episcopati dei Paesi Ue). All’incontro “(Re)thinking Europe”, in corso in Vaticano, è stata chiamata a portare un contributo sul tema “Integrazione – Costruire ponti tra e all’intero degli Stati membri”.
Onorevole Goulard, lei ha parlato di rilancio dell’Ue. Qualcuno ritiene che si tratti di una “mission impossible”…
Non è mai troppo tardi per costruire, per rilanciare. E questo può essere un momento favorevole. Certo, i problemi che abbiamo di fronte sono molti, basti pensare al terrorismo, ai conflitti in atto ai confini del nostro continente, ai nazionalismi, alle posizioni autoritarie di diversi governi nel mondo, alle pressioni migratorie.Questioni che non possono essere sottovalutate e che richiedono risposte.Al contempo abbiamo elementi favorevoli, fra cui – per citarne uno – la ripresa economica che riguarda ormai molti Paesi europei. Ripresa significa anche occupazione, redditi per le famiglie e quindi miglioramenti della qualità della vita quotidiana. Insomma, ci sono davvero tante buone ragioni e parecchie sfide che inducono a serrare i ranghi, fare squadra, unire le forze a livello europeo.
Ma queste convergenze non sono poi così semplici da realizzare e spesso prevalgono interessi divergenti, tra est e ovest, tra nord e sud Europa. Non è così?
È vero, per questa ragione occorre fare dei passi gli uni verso gli altri, cercando di comprendere le ragioni di ciascuno e
rendendoci conto della maggiore interdipendenza,
al di là dei confini, che si è venuta a creare negli anni. Iniziative come (Re)thinking Europe confermano, del resto, che il dialogo favorisce la comprensione e l’avvicinarsi di posizioni divergenti. È oggi più che mai necessario un confronto tra gli Stati, tra Ue e società civile, tra credenti e non credenti.
Si è detto che la crisi economica sta, seppur lentamente, lasciando spazio alla ripresa. La dimensione economica non ha forse preso il sopravvento a livello Ue?
Io comincerei col dire che la dimensione economica non va assolutamente disprezzata. Economia significa – come dicevo prima – lavoro, redditi, benessere, sviluppo dei territori. Senza un’economia forte non ci può essere futuro per i nostri figli. E inoltre lo sviluppo nel senso dell’innovazione, della ricerca, della digitalizzazione, pone l’Europa sulla via della modernizzazione e le conferisce capacità competitiva sulla scena mondiale, accanto a giganti come Cina e Stati Uniti.
Torniamo al “ripensare l’Europa”. Quale il ruolo della politica?
La politica deve mettere al centro i cittadini, la dignità della persona. Inoltre deve dimostrare una visione internazionale, non autoreferenziale.Quanti leader politici nazionali, invece, tendono a demolire l’Europa!Quanti particolarismi e populismi ci circondano… Li vediamo in questi stessi giorni. Occorre piuttosto operare con sguardo lungimirante. E sono sicura che c’è un’ampia parte di popolazione europea, pacata, tante volte silenziosa, che crede nel progetto europeo e nella sua capacità di rispondere ai problemi della gente.
Nella sua Francia, Macron ha vinto le ultime elezioni da posizioni fortemente europeiste.
Sì, la Francia può essere, assieme ad altri Paesi, fra cui l’Italia, uno dei motori per far ripartire l’Unione. Magari assegnandole alcuni compiti principali, dall’economia alla difesa, dalla protezione dell’ambiente alla tutela del welfare. L’Europa non può e non deve fare tutto.
I cristiani possono avere un ruolo in questa fase delicata?
Nella storia abbiamo avuto l’esempio dei “padri fondatori”, cristiani impegnati in politica, che erano dei patrioti senza essere dei nazionalisti, e hanno edificato la Comunità. Del resto, da cristiana ritengo che il nazionalismo, la chiusura verso l’altro e gli altri, non sia compatibile con il vangelo.
Occorrono aperture e dialogo, come invita a fare Papa Francesco.
E non si tratta nemmeno di rinunciare alla propria identità, ma semmai di metterla in gioco in un contesto più ampio: appunto l’Europa.