“Il Sud non è una causa persa”, dice il vicedirettore dello Svimez, Giuseppe Provenzano, presentando a Roma il Rapporto 2017 della più autorevole istituzione di studi sull’economia del Mezzogiorno. Una battuta, certo, che però sintetizza bene il quadro descritto e analizzato dal Rapporto e anche il senso di prospettiva con cui lo Svimez guarda alla situazione delle nostre Regioni meridionali. Ancora strette nella morsa di problemi drammatici eppure dotate di ingenti potenzialità di riscatto. Anche più che potenzialità, se per due anni consecutivi l’economia del Sud è riuscita a crescere più di quella del Centro-Nord, sia pur di poco (nel 2016 il Pil è cresciuto dell’1% contro lo 0,8%).
Nel 2017 il Mezzogiorno torna ad avere un passo meno sostenuto di quello del resto del Paese, ma non perde l’aggancio con la ripresa. Secondo le stime elaborate dallo Svimez, infatti, a ottobre 2017 il Pil italiano risulta in crescita dell’1,5%, conseguenza del +1,6% del Centro-Nord e del +1,3% del Sud. Per il 2018 lo Svimez prevede che le esportazioni e gli investimenti cresceranno più al Sud che al Centro-Nord (rispettivamente +5,4% e +3,1% contro +4,3% e +2,7%) e anche la domanda interna sarà lievemente superiore.
La situazione del Mezzogiorno è comunque molto articolata. Nel 2016 il Pil della Campania è salito del 2,4%, quello della Basilicata del 2,1% e quello del Molise dell’1,6. Tutte le altre Regioni hanno avuto una crescita inferiore all’1% fino al risultato negativo dell’Abruzzo che ha segnato un -0,2%. Tra i settori economici, nel 2016 il Sud ha superato il Centro-Nord nell’industria, nelle costruzioni e nel terziario (soprattutto per il turismo) mentre il valore aggiunto in agricoltura è tornato a diminuire dopo il boom del 2015.
Se nei primi primi otto mesi dell’anno – stima lo Svimez – sono stati incentivati oltre 90mila rapporti di lavoro grazie alla proroga della decontribuzione per i nuovi assunti nel Mezzogiorno, quello del lavoro resta in tutta evidenza il problema più grave. Nelle Regioni meridionali, infatti, gli occupati sono cresciuti dell’1,7% nel 2016, ma mentre le Regioni del Centro-Nord hanno recuperato integralmente la perdita di posti di lavoro avvenuta durante la crisi, al Sud mancano all’appello ancora 381mila unità e non è che prima della crisi la situazione fosse rosea. Il recupero, poi, è quasi tutto concentrato tra gli ultracinquantenni, mentre tra i giovani ci sono 1 milione e 900mila occupati in meno rispetto al 2008. Lo Svimez parla di un “drammatico dualismo generazionale” e segnala anche un deciso incremento dei lavoratori a bassa retribuzione, conseguenza dell’occupazione di minore qualità e delle riduzioni d’orario non volontarie.
Nettamente negativo anche il saldo demografico e in particolare quello migratorio. Lo Svimez calcola che nell’ultimo quindicennio il Sud abbia perso circa 200mila laureati e prova a stimare, al di là degli evidenti risvolti sociali, il costo finanziario di questa perdita: circa 30 miliardi, trasferiti alle Regioni del Centro-Nord e in una piccola parte all’estero.
Resta altissimo il disagio socio-economico: nel 2016, dieci meridionali su cento risultavano in povertà assoluta, contro poco più di sei nel Centro-Nord.
Il rischio di povertà al Sud è triplo rispetto al resto del Paese. L’introduzione del Rei, il reddito d’inclusione, va nella direzione giusta ma per ora l’impegno finanziario è assolutamente insufficiente.
A fronte di questa situazione complessiva, lo Svimez ritiene indispensabile riprendere e “concentrare” gli investimenti Nelle Regioni meridionali. A dispetto dei luoghi comuni, gli investimenti pubblici nel Sud hanno toccato nel 2016 il minimo storico e, calcolati pro-capite, oggi sono di gran lunga inferiori a quelli realizzati nel Centro-Nord: 296 euro questi ultimi contro i 107 nel Mezzogiorno, con una media nazionale che si attesta sui 231 euro. Ma concentrare gli investimenti al Sud, spiega il presidente dello Svimez, Adriano Giannola, “non risponde solo a una logica di perequazione, è anche un modo per utilizzare in modo più efficace e più efficiente le risorse in quanto il Mezzogiorno ha dimostrato una reattività all’investimento pubblico molto più alta del resto del Paese”.
Qualche altro dato del Rapporto aiuta a comprendere come le dinamiche reali siano a volte molto diverse da quelle di certa propaganda politica.
Per esempio, il 14% del Pil del Centro-Nord (pari a 177 miliardi di euro nel 2015) è dovuto a consumi e investimenti del Sud. Non solo. Su 50 miliardi di residui fiscali (tema sollevato dai referendum in Veneto e Lombardia) di cui beneficia il Sud, circa 20 miliardi ritornano direttamente al Centro-Nord e gli altri, comunque, rafforzano il mercato delle Regioni meridionali che resta rilevante per l’intero Paese. Ancora. Il surplus dei depositi bancari al Sud – la differenza tra depositi e impieghi che nel 2016 era di circa 5 miliardi – finisce per finanziare l’economia del Centro-Nord.
Insomma. dopo la fase della “dipendenza fisiologica”, quando le Regioni settentrionali hanno aiutato lo sviluppo di quelle meridionali, e quella della “dipendenza patologica”, i cui effetti sono ben noti, oggi – sottolinea Giannola – a parola chiave è “interdipendenza”.
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