“Per rafforzare il senso di appartenenza al nostro progetto dobbiamo dare ai popoli europei risposte concrete sui temi che più li preoccupano: terrorismo, immigrazione illegale, disoccupazione giovanile. È necessaria una forte unità europea con strumenti all’altezza dei nostri obiettivi. Dobbiamo cambiare l’Europa, non distruggerla”. Antonio Tajani, 64 anni, eurodeputato dal 1994, già commissario Ue prima ai trasporti e poi all’industria, dal gennaio scorso presidente del Parlamento europeo, ha toccato diversi temi nel suo discorso, pronunciato il 28 ottobre in Vaticano davanti a Papa Francesco, intervenendo al dialogo “(Re)thinking Europe”. Tajani, europeista convinto, riconosce l’impasse in cui si trova l’Ue e sottolinea: “Un’Europa senza valori è un’Europa senza coscienza e senza identità”.
Presidente, torniamo su alcuni temi da lei sollevati a “(Re)thinking Europe”. Ha parlato di problemi concreti da risolvere, così pure di valori e identità. Quale la strada per rivitalizzare il progetto comunitario?
Direi che occorre tenere insieme la prospettiva “alta” dei valori con le risposte che dobbiamo fornire alle necessità dei cittadini, per far sì che essi riscoprano obiettivi e “vocazione” dell’Unione, della quale non possiamo oggettivamente fare a meno. I cittadini, i nostri giovani, le famiglie hanno anzitutto bisogno di lavoro, di redditi certi, di sicurezza sociale.
E per creare lavoro gli Stati europei e l’Ue devono puntare sull’economia reale
non sulla finanza, che semmai è uno strumento del sistema economico. Per questo insisto sul rafforzamento del nostro apparato produttivo e in particolare il manifatturiero. Ma ci stiamo muovendo anche su altri versanti. Prossimamente a Goteborg inaugureremo il “pilastro sociale” della costruzione europea. Abbiamo già varato diversi provvedimenti e in cantiere ne abbiamo tanti altri. Il Parlamento europeo è, in questo senso, in prima linea.
Sono sotto gli occhi di tutti il pericolo latente e le paure che suscitano le continue notizie di attentati, in Europa e nel mondo. Così come le opinioni pubbliche temono le guerre attorno ai nostri confini europei. Siamo di fronte a una minaccia costante, che va dalle nostre capitali agli Stati Uniti, dal Medio Oriente all’Africa. Una più stretta collaborazione su scala europea sul versante della difesa e del contrasto al terrorismo ci può dare reali risultati e rasserenare la vita di ogni giorno.
Sull’immigrazione?
Nel mio discorso in Vaticano ho ribadito che nel governo dei flussi migratori l’Europa non deve dimenticare la dignità dell’uomo.Chi scappa da guerre e violenze – ho esplicitamente affermato – deve ricevere la protezione di cui ha diritto nell’Unione, con una vera solidarietà tra Stati europei.Perché è chiaro che il fenomeno non può essere lasciato solo sulle spalle di alcuni Stati, in primis l’Italia. Come Parlamento abbiamo costretto la Commissione ad aprire procedure di infrazione verso quegli Stati che non hanno mostrato alcuna solidarietà: Polonia. Ungheria, Repubblica ceca. E poi esercitiamo una grande pressione politica affinché sia riformato il sistema di Dublino e si preveda il ricollocamento automatico dei rifugiati tra i Paesi Ue. D’altro canto dobbiamo contrastare la tratta e anche l’immigrazione irregolare. Occorre non di meno favorire l’immigrazione controllata di persone qualificate che possono inserirsi nelle nostre società e nel mondo del lavoro, tutelate e pagate regolarmente. Basta con la prostituzione, basta con i braccianti in nero nei campi di pomodori a 12 euro al giorno!
Da tempo lei insiste sull’urgenza di dare stabilità politica e sviluppo economico all’Africa…
Certamente. Si tratta di affrontare alla radice il fenomeno migratorio, creando sviluppo e prospettive in Africa. Occorre investire miliardi di euro per l’economia, la lotta alla povertà e alle malattie e al contempo sostenere i processi democratici e la stabilità politica che sono il vero antidoto alle guerre e alle violenze cui oggi assistiamo in troppi Paesi del continente.
A “(Re)thinking Europe” è tornato più volte, anche con accenti diversi tra gli stessi partecipanti, il tema delle identità, dei nazionalismi, dei particolarismi. Lei cosa ne pensa?
“Io ritengo che le piccole patrie, in cui qualcuno vorrebbe rinchiudersi, non hanno senso, sono fuori tempo massimo. Il caso della Catalogna ne è una lampante dimostrazione.
Sono invece un sostenitore degli Stati uniti d’Europa, dove patrie e identità differenti si riuniscono nella casa comune europea.
Si tratta di unire le forze per raggiungere obiettivi più grandi di quelli che ciascun Paese potrebbe prefiggersi da sé. E aggiungo che questo è anche il tempo per rilanciare il sogno europeo, per trasmettere ai giovani grandi ideali. Non basta il telefonino in tasca… Negli anni ’60 e ’70, pur fra equivoci ed esagerazioni, i giovani credevano in qualcosa, nell’impegno sociale, nel volontariato, nel valore della politica. Occorre riscoprire questi elementi. E in tale contesto si colloca il valore essenziale della religione nello sazio pubblico. Ho ben chiaro il senso della laicità delle istituzioni politiche, ma sappiamo anche che occorre tutelare la libertà di religione e valorizzare la presenza delle comunità religiose nei nostri Paesi in ambito sociale, educativo, relazionale, solidale. Un certo laicismo tende a negare questa prospettiva, ma vorrebbe dire snaturare l’essere umano. Papa Francesco lo ricorda in continuazione.
Ancora una domanda. Si parla spesso di crisi dell’Europa, di crisi della politica europea. Ma la politica a livello cittadino, regionale, nazionale non dà particolari segnali di vivacità… E lei stesso davanti al Papa ha ricordato il dovere di “riaffermare il primato della politica”, a garanzia della democrazia, dei diritti, dei cittadini stessi. Una parola in proposito?
Sono fermamente convinto che occorre tornare alla politica con la “p” maiuscola, come si dice. La devono riscoprire gli adulti, occorre testimoniarne il valore di fronte ai giovani.E hanno un compito importante in questo senso la famiglia, la scuola, le realtà associative, le comunità religiose.Pensiamo a tutto il tema della tolleranza, del contrasto alla radicalizzazione, e poi il discorso sui diritti fondamentali… Ma credo sia necessario che la classe politica faccia un serio esame di coscienza. È necessario che i politici agiscano in trasparenza, competenza e per il bene comune come primo passo per far riappassionare i giovani e tutti i cittadini alla “cosa pubblica”.