“Ormai manca solo la Giornata mondiale dei beoti e poi saremo al completo: avremo così dato l’opportunità anche a loro d’essere beati”: m’è capitato di sentire qualcosa del genere, nei giorni scorsi, da una persona che commentava ad alta voce l’istituzione della Giornata mondiale dei poveri che viene celebrata domenica 19 novembre. Chi parlava in questi termini, non avrebbe dovuto farlo per tanti motivi: innanzitutto perché è un essere umano. Inoltre, perché è segnato dal battesimo e perciò fa parte della comunità dei discepoli di Cristo. Nella quale, peraltro, svolge un peculiare ministero, vivendo così nella condizione del servizio, si fa per dire mi viene – purtroppo – da aggiungere. Infine, perché parlava in questi termini mentre stava seduto, tranquillo e contento, a una tavola ben imbandita.
Ma perché dedicare qui tanto spazio a questo beone – di cui non faccio il nome, ma che non mi sto inventando – che prende per beoti i poveri, oltre che gli operatori di pace e gli altri destinatari delle promesse di beatitudine fatte da Gesù? Perché a lui, e a chi come lui, una possibilità in più per capire il senso autentico della prima Giornata mondiale dei poveri è offerta dal messaggio con cui papa Francesco chiede a tutti di prepararsi a ben celebrarla, impegnandosi – proprio in questi giorni – “a creare tanti momenti di incontro e di amicizia, di solidarietà e di aiuto concreto” nei confronti di chi si ritrova impastoiato in qualsiasi tipo di povertà, da quella che costringe a saltare quasi ogni giorno i pasti a quella che costringe a indossare vestiti laceri e sporchi, o ad andare in giro con le scarpe sfondate e a dormire sotto i ponti e dentro i cartoni. E quella che impedisce di comprare le medicine per curarsi, o il biglietto del treno per andare a trovare i propri familiari, o un mazzo di fiori da portare sulla tomba dei propri cari. E quella ancor più spietata che degenera in emarginazione e solitudine, in delusione e disperazione, in rabbia e violenza, al limite nel suicidio. O quella che non riconosce il diritto a frequentare la scuola, ad imparare le parole adatte per chiedere aiuto o per rivendicare i propri diritti, e tramite cui poter fruire di “quell’altro pane” senza il quale l’uomo non può davvero vivere.
La Giornata mondiale dei poveri, spiega Francesco, vuole prolungare l’annuncio della misericordia risuonato durante l’ultimo Giubileo straordinario, facendoci ricordare “la predilezione di Gesù per i poveri”.
In tal senso, essa ha innanzitutto una funzione ermeneutica: fissata per la XXXIII domenica del tempo ordinario, funge da premessa alla solennità di Cristo Re, nell’ultima domenica dell’anno liturgico, per far intuire il senso più profondo della paradossale signoria di Gesù: “La regalità di Cristo, infatti, emerge in tutto il suo significato proprio sul Golgota, quando l’Innocente inchiodato sulla croce, povero, nudo e privo di tutto, incarna e rivela la pienezza dell’amore di Dio”. Inoltre, è l’occasione propizia per mettere a fuoco le implicazioni sociali della misericordia nel mondo contemporaneo, già prospettate da Francesco nella lettera apostolica Misericordia et misera.
Il messaggio del Papa offre delle risposte anche a chi, in questi ultimi anni, lo ha criticato proprio riguardo alla questione cruciale della povertà. Secondo questi critici, l’attuale magistero pontificio si aggroviglia nella contraddizione tra le categorie teologico-spirituali, che indicano in Cristo Gesù il povero per eccellenza, cui doversi conformare, e quelle sociologiche, che invece mostrano la povertà pur sempre come un nemico da abbattere e una negatività da eliminare. Da questa matassa ingarbugliata sortirebbe quello che alcuni considerano l’ingenuo terzomondismo di Francesco, teologicamente debole e dottrinalmente incerto.
È agevole rendersi conto che queste critiche non colgono l’impianto polare della mentalità di papa Bergoglio, sostenuto dal riferimento a pensatori quali Alberto Methol Ferré, Gaston Fessard e Romano Guardini, come è spiegato in una sua recente biografia scritta da Massimo Borghesi: occorre scorgere la fondamentale coincidentia oppositorum, cui la visione del Papa si ispira, per comprendere che seguire il Cristo povero e combattere la povertà sono – per il cristiano – una medesima cosa.
A tal proposito, il messaggio per la prima Giornata mondiale dei poveri è un vero e proprio compendio della teologia della povertà elaborata dal papa.
Il suo punto di forza è il radicamento nel messaggio biblico e nella grande tradizione ecclesiale: lo dimostrano il richiamo dei Salmi, l’esortazione ad amare non a parole ma con i fatti rintracciata nella Prima Lettera di Giovanni e nella Lettera di Giacomo, la rievocazione dello stile di vita solidale della Chiesa nascente illustrato negli Atti degli Apostoli, l’eco del discorso della montagna e dell’inno cristologico nel secondo capitolo della Lettera ai Filippesi, ma anche il recupero dell’insegnamento di Giovanni Crisostomo sulla sacramentalità del povero, il rimando all’esempio di Francesco d’Assisi, la ripresa della lezione del Vaticano II e del Catechismo della Chiesa cattolica.
Da uno sfondo così articolato, emerge il profilo vocazionale della povertà, intesa come appello “a seguire Gesù povero”: “La povertà è un atteggiamento del cuore che impedisce di pensare al denaro, alla carriera, al lusso come obiettivo di vita e condizione per la felicità […], è il metro che permette di valutare l’uso corretto dei beni materiali, e anche di vivere in modo non egoistico e possessivo i legami e gli affetti”.
Si percepisce l’afflato spirituale di questa teologia della povertà. La quale, però, non rimane vagamente astratta o emotivamente idealistica.
La teologia della povertà, che sostiene la Giornata mondiale dei poveri, è concretissima: il suo tema principale sono, appunto, i poveri più che la stessa povertà.
Se per un verso non dobbiamo dimenticare che la povertà è “frutto dell’ingiustizia sociale, della miseria morale, dell’avidità di pochi e dell’indifferenza generalizzata”, per altro verso – secondo Francesco – non possiamo ignorare che “essa ci interpella ogni giorno con i suoi mille volti segnati dal dolore, dall’emarginazione, dal sopruso, dalla violenza, dalle torture e dalla prigionia, dalla guerra, dalla privazione della libertà e della dignità, dall’ignoranza e dall’analfabetismo, dall’emergenza sanitaria e dalla mancanza di lavoro, dalle tratte e dalle schiavitù, dall’esilio e dalla miseria, dalla migrazione forzata. La povertà ha il volto di donne, di uomini e di bambini sfruttati per vili interessi, calpestati dalle logiche perverse del potere e del denaro”.
“Se non lo tocchi, non lo incontri”, è solito insistere il Papa. Fra le righe del messaggio per la Giornata mondiale dei poveri riecheggia questo refrain:
è necessario vivere un rapporto personale con i poveri, non mediato – o rimediato – da qualche filantropico sms a questa o quell’altra Onlus.
I poveri rappresentano la “carne di Cristo”, sacramento del suo corpo crocifisso, da riconoscere non solo sotto le specie eucaristiche esposte sull’altare e custodite nel tabernacolo, ma anche lì dove essi si ritrovano prostrati, ai margini delle strade, nelle periferie più estreme, nei sotterranei della storia. Solo così la seta dei parati liturgici – come predicava Giovanni Crisostomo – non sarà un’offesa alla nudità di Cristo, presente ancora tra noi tramite i poveri. Solo così asseconderemo l’invito rivolto da Gesù a chi ascoltava la sua parabola del buon samaritano: “Vai e fai anche tu lo stesso”. Solo così sperimenteremo la verità annunciata dal Papa, quando dice che i poveri “non sono un problema”, bensì “una risorsa a cui attingere per accogliere e vivere l’essenza del Vangelo”.
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