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Monache Clarisse: “Dio ci vuole partecipi della sua gioia, del suo Regno, del suo ‘molto'”

DIOCESI – Lectio delle Monache Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto sulle letture di domenica 19 novembre.
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«Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri»: anche la parola di questa domenica ci fa soffermare sul tema della vigilanza, una vigilanza che non è solamente un atteggiamento interiore, uno stato dello spirito ma è un “lavoro concreto e fattivo” che chiede l’impegno di tutto ciò che siamo.
A questo proposito, infatti, si parla di mani nella prima lettura, tratta dal libro dei Proverbi, le mani di «una donna forte» che «si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani. Stende la sua mano alla conocchia e le sue dita tengono il fuso. Apre le sue palme al misero, stende la mano al povero».
Ancora di mani si parla nel salmo: «Della fatica delle tue mani ti nutrirai, sarai felice e avrai ogni bene».
Mani che lavorano e che ti rendono forte, mani che lavorano e che ti rendono felice e colmo di bene.
Mani che operano e che dicono una responsabilità, una laboriosità, una vigilanza, un guardare oltre.
“Mani” protagoniste anche del brano evangelico, che ci presenta la parabola dei talenti. C’è «un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno».
Il Signore ci chiede di “investire”, “trafficare”, rischiare i doni ricevuti, il talento che noi siamo, e che è la nostra vita. Non siamo chiamati a nasconderli, per paura di un Dio cattivo, pericoloso, un Dio che ci immaginiamo “duro”, vendicativo, a cui sottrarsi il più possibile.
«Rimanete in me e io in voi, dice il Signore, chi rimane in me porta molto frutto»: il nostro Dio è il Dio della vita e della vita condivisa, moltiplicata, un Dio che ci vuole partecipi della sua gioia, del suo Regno, del suo “molto”. Un Dio che, consegnandoci i suoi beni, ci accorda una fiducia enorme, ci chiede di non fermarci a “conservare”, imbalsamare, mummificare la nostra vita ma piuttosto chiede a ciascuno di noi, secondo le proprie forze e capacità, di vivere, lavorare, rischiare, gioire e soffrire dando un senso, una direzione alla propria esistenza.
Dio desidera che l’uomo viva e cerchi la felicità, che metta in gioco la propria unicità e la propria umanità, che non si lasci paralizzare da paure o immagini distorte di Dio. Questo per essere e vivere nell’abbondanza, per essere e vivere da «figli della luce e figli del giorno», perché possiamo vedere il bene tutti i giorni della nostra vita.

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