La cura è massima per ogni dettaglio della visita. Dai 20 bambini, scelti di diverse etnie, che andranno all’aeroporto di Yangon ad accogliere papa Francesco al suo arrivo in Myanmar, alle dirette tv: per ora sono certe quelle che riprenderanno l’incontro, il 28 novembre, con le autorità politiche nella capitale Nay Pyi Taw e la messa pubblica del 29 novembre al Kyaikkasan Ground di Yangon. Dietro ogni dettaglio c’è lui: monsignor John Saw Yaw Han, vescovo ausiliare di Yangon e coordinatore locale del viaggio apostolico. Il Myanmar attende il Papa. Ma di questa figura, la gente sa davvero poco in questa terra rimasta chiusa per 55 anni in un regime militare molto rigido e dove la maggioranza della popolazione è per l’85% buddista. “Una persona mi ha chiesto se il Papa viene dall’Inghilterra”, racconta sorridendo il vescovo, che si dice però profondamente convinto che il Myanmar saprà amare Francesco, un Papa che sa aprire porte inaspettate. “Recentemente un ufficiale della sicurezza del Myanmar ha potuto incontrare il Papa durante un incontro che si è tenuto a Roma tra i responsabili della sicurezza vaticana e del Myanmar. Ha ricevuto personalmente dal Papa un rosario ed è rimasto molto colpito, davvero toccato da questo incontro. Sarà così anche per tutto il popolo del Myanmar”.
Perché il Papa ha scelto di venire proprio qui?
Perché il Papa ha a cuore le persone più bisognose e guarda alle periferie. In questo senso, dimostra di essere il pastore che ha l’odore delle pecore.
Quali sono le tappe più importanti di questo viaggio?
Sicuramente l’incontro con le autorità politiche del Paese e il corpo diplomatico, alla International Convention Center dove ci sarà il suo primo discorso pubblico. Il 29 novembre ci sarà la Messa al Kyaikkasan Ground di Yangon dove sono attese 150mila persone. Abbiamo anche invitato i leader delle altre religioni riservando per loro un posto speciale. È in programma anche un incontro con il Consiglio supremo “Sangha” dei monaci buddisti nel Kaba Aye Centre e con la più alta autorità buddista del Myanmar. È un appuntamento molto atteso, perché è l’incontro tra due grandi leader del cattolicesimo e del buddismo. Subito dopo il Papa si incontrerà con i vescovi locali e il giorno dopo ci sarà una Messa per i giovani.
Nel corso della sua permanenza qui, a Yangon, il Papa avrà anche tanti momenti liberi. Ci può anticipare qualche incontro fuori programma?
Sì, ci sarà questa possibilità. Ma non posso al momento dire nulla di definitivo ma solo che ci saranno.
Perché, secondo lei, il Papa ha scelto di venire in Myanmar proprio in questo momento?
Nel video messaggio rivolto al Myanmar, papa Francesco ha parlato di riconciliazione, di perdono e di pace nel nostro Paese e ha detto che verrà per riconfermare nella fede la comunità cattolica nella sua fede in Dio e nella sua testimonianza nel Vangelo.
Perché ha scelto proprio queste tre parole?
Il Myanmar sta cercando, sta lottando, sta lavorando per rafforzare la democrazia. E questo è un processo lungo e delicato che nessuno può intraprendere da solo.
In questo momento dobbiamo imparare a lavorare insieme, come comunità, per costruire la democrazia. Questa è una sfida.
Ma ce n’è un’altra ed è quella di creare, soprattutto per i giovani, nuove opportunità di lavoro. Aumentano le persone che scelgono di migrare in altri Paesi per cercare un futuro possibile ma la migrazione obbliga le persone a separarsi dagli amici, dagli affetti più cari, dalla famiglia, a lasciare la propria cultura. Per questo è urgente creare nuove opportunità di lavoro qui per evitare che la gente lasci il Paese.
In Myanmar ci sono 135 differenti gruppi etnici. Quanto è difficile la sfida della riconciliazione?
Non solo in Myanmar, ma in ogni parte del mondo, e anche all’interno delle nostre famiglie, abbiamo bisogno di riconciliarci con l’altro. È un passo essenziale. Se siamo in grado di accettare noi stessi, dobbiamo anche imparare ad accettare gli altri con le loro diverse provenienze e culture. È importante. Ma la mia esperienza mi dice anche che la vera riconciliazione passa sempre attraverso il perdono, e che quando il perdono viene donato, lascia dentro pace e serenità. Credo che sia un messaggio molto importante per il nostro Paese, ma non solo. È valido per tutti.
Che cosa ci si aspetta da questa visita?
Il Papa, che visita la nostra terra, è un sogno diventato realtà. Era il sogno dei nostri padri, dei nostri nonni. Siamo grati oggi al Papa per questa opportunità che stiamo vivendo ora. È la prima volta che un Papa visita il Myanmar e ciò accade proprio mentre stiamo celebrando i 500 anni di presenza della Chiesa cattolica in Myanmar. Sentiamo che questa visita è una benedizione per noi.
Lei ha avuto modo di parlare molto spesso in questi giorni con le autorità politiche del Paese. Qual è stata la loro attitudine verso questa visita?
C’è stata innanzitutto una grandissima disponibilità a lavorare e fare il possibile per favorire e organizzare questa visita. Il Papa ha fatto un grande dono al nostro Paese decidendo di venire qui. Il Myanmar cercherà di dimostragli tutta la sua gratitudine e ospitalità.
Siamo un popolo ospitale, pronto ad accoglierlo.
Che cosa dirà a Papa Francesco quando lo incontrerà?
Gli dirò che gli sono molto grato per essere venuto nel nostro Paese, desidero quindi ringraziarlo e dirgli che gli voglio bene.
0 commenti