Trecentocinque morti, di cui 27 bambini, e 128 feriti: è il bilancio della strage terroristica compiuta il 24 novembre scorso alla moschea di Al Rawdah nei pressi della cittadina di Bir al-Abd, nel Sinai Settentrionale. Un gruppo di una ventina di uomini armati è sceso da quattro pick-up nei pressi della moschea aprendo il fuoco sui fedeli in preghiera. A essere travolto dalla furia terroristica è stato un luogo di culto sufi, un orientamento mistico dell’islam che lo Stato islamico considera apostata ed eretico. Nessuno ancora ha rivendicato ma i sospetti si puntano sull’Isis. Mai prima d’ora si era andati a colpire dei musulmani dentro a una moschea. Tutti gli attentati precedenti avevano visto come obiettivi le forze di polizia e la minoranza cristiana. Di questa strage, che ha mietuto più vittime in questi ultimi anni di terrore, ne abbiamo parlato con Michele Brignone, segretario scientifico della Fondazione internazionale “Oasis”.
Quello contro la moschea di Al Rawdah appare come un attacco organizzato e ben congegnato e ancora una volta contro una minoranza. Ieri i cristiani oggi i sufi. Vede delle novità rispetto a fatti analoghi avvenuti in passato?
Vedo piuttosto
un salto di qualità: hanno colpito musulmani egiziani radunati nella moschea per pregare. I terroristi hanno scelto con cura tempo e obiettivo.
Qui c’è tutto l’aspetto più dirompente dell’ideologia jihadista che tende a scomunicare non solo gruppi e popolazioni non musulmane ma anche gli stessi musulmani. In questo caso hanno voluto colpire i sufi in continuità con un’avversione al sufismo che conosciamo nelle tendenze salafite e jihadiste. Il sufismo non è una minoranza. Esso è vissuto da milioni di musulmani comuni e rappresenta una dimensione molto importante dell’Islam sunnita. Colpire musulmani in preghiera raccolti in una moschea introduce una novità di non poco conto.
Nel Sinai da anni si verificano azioni terroristiche. Oggi sembra diventato un vero punto di raccolta del Califfato…
Il Sinai all’interno dello Stato egiziano è una regione marginale con pochi tratti in comune con la Valle del Nilo. La penisola guarda più verso Nord Est, verso la Palestina che non verso il Cairo. Storicamente si tratta di un luogo di conflitto con Israele e dal 2000 la zona è stata soggetta ad attacchi jihadisti nel Mar Rosso. Attentati cui l’allora presidente Mubarak rispose con una dura repressione. Da quel momento in poi si è creato uno stato di tensione con il Governo egiziano che ha trasformato il Sinai in un punto di raccolta di jihadisti egiziani e non, arrivati anche da Gaza dopo che Hamas nel 2006 ne prese il controllo.
La mancata rivendicazione della strage da parte dell’Isis, in genere molto solerte a firmare ogni attentato, potrebbe avvalorare l’ipotesi che l’attentato sia da considerarsi come un avvertimento alle tribù beduine dell’area sempre meno propense a coprire i movimenti dei jihadisti nella penisola e più disposte a collaborare con il Governo centrale?
Questa potrebbe essere una chiave di lettura. Dopo il 2013 la strategia dello Stato nel Sinai si è modificata cercando la collaborazione con le tribù locali.
Possibile dunque che tra i fattori che spiegano l’attentato ci possa essere un aspetto punitivo dei jihadisti verso quella parte di popolazione che ha cominciato a collaborare con lo Stato. Sulla mancata rivendicazione da parte di Isis bisogna tenere conto anche della crudeltà di questo attacco che lancia un messaggio forte alle popolazioni musulmane. Il rischio per Isis è di alienarsi quel consenso, per quanto piccolo, che ha presso alcuni.
La strage è di fatto anche un messaggio “politico” al Governo egiziano. Ma per ottenere cosa?
Più che per ottenere, per impedire qualcosa, vale a dire la pacificazione della penisola del Sinai che da anni è una spina nel fianco del Governo centrale. L’Isis ha tutto l’interesse nel mantenere questa situazione di caos. Negli attacchi precedenti il target erano le forze di sicurezza. Invece adesso a essere colpiti sono civili inermi. Tutto per dimostrare che Al Sisi non è in grado di garantire la sicurezza della zona dove prosperano gruppi jihadisti.
Cosa è realistico attendersi adesso dopo questa strage?
Una possibile escalation dietro la quale si cela una giustificazione teorica – i sufi sono ritenuti eretici perché non praticano il vero Islam – che allarga il ventaglio jihadista dei nemici dell’Islam. Detto questo bisogna anche dire che, in seguito a tutte queste stragi,
il mondo musulmano ha preso coscienza della minaccia jihadista e certe connivenze che si notavano in passato credo che ora stiano saltando.
È chiaro che la contrapposizione non è tra mondo islamico e Occidente ma è tutta interna all’islam. L’unico che può estirpare il cancro jihadista.