Di Andrea Valori e Fabio Piunti, Liceo Scientifico Rosetti
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – “Il coraggio non è mai stato “non avere paura”, le persone coraggiose sono quelle che affrontano i loro timori e le loro incertezze. Sono quelli che le ribaltano usandole per diventare ancora più forti. Negli occhi dei nostri, oggi, forse c’è anche un po’ di timore, come sempre quando arrivi al momento decisivo, e allora… coraggio!”Prendiamo la frase di Franco Caressa per aprire la nostra riflessione dopo l’incontro con Yvan Sganet.
Il coraggio di agire è qualcosa di insito nell’animo di pochi uomini, pochissimi se il coraggio in questione è davvero tanto… Yvan Sagnet è uno fra questi. Nasce in Camerun nel 1985, dove alla tenera età di 5 anni si innamora perdutamente dell’Italia, durante i mondiali di calcio del 1990. Non è come i suoi coetanei, che con ardore desiderano di raggiungere la Francia o l’Inghilterra: il suo sogno è l’Italia. E questa è la sua storia, iniziata per caso da qualche partita di pallone, ascoltando la canzone ufficiale dei mondiali “Notti Magiche” di Edoardo Bennato, ed emozionandosi a tal punto che gli sembrava di entrare in un’altra dimensione.
Arriva in Italia nel 2007, scegliendo Torino in quanto tifoso della Juventus. Non appena sfiora la nuova atmosfera che lo circonda, capisce immediatamente la differenza fra sogno e realtà. Il clima freddo Torinese lo colpisce emotivamente, essendo abituato a temperature che talvolta toccano i 40°C. I problemi legati all’integrazione, inoltre, sono molteplici e di difficile superamento: la mancanza di calore e accoglienza lo mettono a dura prova, provando per la prima volta una sensazione di malessere. Si iscriverà, poi, alla facoltà di ingegneria dove riceverà una borsa di studio grazie alla sua dedizione e determinazione nell’affrontare la vita. L’università, a detta di Yvan, è un ambiente che lo ha formato… nell’intelletto e nell’animo.
Nel 2011 la vita gli riserva un duro colpo: perde la borsa di studio, cosicché i costi delle tasse e dell’affitto diventano fin troppo elevati per lui, tanto da non aver più il supporto economico necessario atto al mantenimento all’Università di Torino. Viene a sapere, in seguito, della raccolta dei pomodori nell’estate che verrà presso Nardò, in provincia di Lecce, dove vige il fenomeno del caporalato.
“Voglio parlare, oggi con voi, del fenomeno del caporalato al fine di sensibilizzare le coscienze”, afferma Yvan Sagnet all’alba del suo discorso.
Ciò che ricorda del ghetto in cui approdò è un’immagine del tutto spenta di emozioni, grigia, oscura, invivibile, simile a un campo di concentramento. Era costituito all’incirca da 800 persone, delle quali almeno la metà dormivano per terra, dopo essersi acquistati un materasso all’interno del ghetto. Si era dunque creata una sorta di economia indipendente all’interno di quella struttura illegale e malsana, in cui ad avere agevolazioni erano solo ed esclusivamente i caporali e gli imprenditori. Yvan definisce tutto ciò “degrado che calpesta la dignità”.
Ancor più allarmante era il fatto che i caporali divenivano sempre più ricchi, e gli umili lavoratori della terra erano sempre più disertati dei pochi spiccioli di cui disponevano. Infatti, essi avevano l’obbligo di pagare una tassa che gli permetteva di raggiungere il campo di lavoro tutte le mattine, e non era possibile utilizzare mezzi personali. In aggiunta al degrado, i lavoratori africani dovevano anche pagare il panino e l’acqua al caporale (in questo caso, un uomo sudanese che si faceva chiamare “Berlusconi” per l’ammontare di denaro nelle sue tasche).
Essi lavoravano 12 o 14 ore al giorno, e venivano pagati a cottimo: ovvero, in proporzione alla quantità di casse di pomodori che riuscivano a riempire in una sola giornata. 3,50 euro era la retribuzione offerta dal caporale: il che significava che una giornata estenuante di lavoro sotto al sole cocente veniva pagato all’incirca 14 euro, dei quali almeno il 70% ne veniva dissipato tramite le dure tassazioni imposte sui lavoratori.
I casi di intossicazione polmonare erano assai frequenti, anche se i caporali chiedevano una tassa di 20 euro per accompagnare il malato in questione all’ospedale, e molti non disponevano neppure di una cifra così esigua. Sembrava sempre più puro sfruttamento, piuttosto che lavoro come indicato saldamente nel primo articolo della Costituzione Italiana. Il lavoro era tanto, la fatica era dura e vana, nulla dava certezze di una vita spensierata e felice, come quella che dovrebbe avere ciascun buon lavoratore. Si arrivò al limite della sopportazione, alla goccia che fece traboccare il vaso, e ci fu un’intensa protesta che durò 2 mesi, bloccando la strada statale che da Nardò portava a Lecce.
Quando arrivarono le forze dell’ordine, il sindaco chiese con veemenza il perché di quella situazione, e lì si sentirono di fronte all’occasione che avevano sempre aspettato: rivelarono tutto, denunciando i sevizi inflitti turpemente sulla povera gente.
La più grande vittoria dei lavoratori arrivò qualche anno dopo con le sentenze punitive: 22 persone fra caporali e imprenditori furono arrestati.
Ci teneva a ribadire con forza che su 1.200.000 lavoratori agricoli, 400.000 sono vittime di caporalato e sfruttamento; perciò, l’1/3 dei prodotti che arrivano sulla nostra tavola sono macchiati di sangue, e quindi non sono buoni.
Infine, Yvan Sagnet ha alzato il tono della voce rivolgendosi a noi studenti, ribadendo il fatto che fra pochi anni ci imbatteremo nel mondo del lavoro, e che non abbiamo neppur la minima idea di quanto esso sia ingiusto e spietato. Ergo, il nostro compito è di avere un animo forte, atto a contrastare coloro che vogliono fare di noi un oggetto, un semplice strumento da lavoro senza emozioni. Yvan ci esorta a ribellarci, a non avere timore di nulla, poiché quando la rabbia per l’ingiustizia supera la paura diventiamo macchine da guerra senza freni.
Yvan crede in noi, che siamo il futuro… saremo come la rugiada al mattino, sempre presente… e come leoni, sempre forti.