Paola Inglese
Né spopolamento, né collegamenti difficili li tengono lontani dai fedeli loro affidati. Nel 35% delle parrocchie italiane i sacerdoti sono “pendolari”, indicano dati dell’Istituto centrale sostentamento clero. Non solo ognuno ha più di una comunità, ma i preti di montagna arrivano a sommarne anche una dozzina, realtà piccole, distanti chilometri, con popolazione diffusa e grandi bisogni. In questo dicembre dedicato a sensibilizzare i fedeli alle necessità della Chiesa italiana, accompagnando i preti diocesani con un contributo di comunione, ecco dove le nostre Offerte li raggiungono nella missione, proprio mentre si accendono le luci del Natale.
Nelle zone montane che hanno spesso visto smantellati i servizi essenziali, dalle scuole ai poliambulatori, per gli anziani soli, con i figli lontani, e per le giovani famiglie, il parroco è punto di riferimento sociale e culturale. Aiuta i piccoli paesi a far sentire la propria voce. E la Chiesa locale diventa un presidio di fede, dove ritrovare se stessi, le relazioni e la propria storia. Sullo sfondo di un’Italia in profondo mutamento, è dunque alle prese con questi compiti nuovi per i preti diocesani che le nostre Offerte per il sostentamento li raggiungono.
Don Italico José Gerometta, parroco di nove parrocchie alle porte della Carnia, in provincia di Pordenone, è uno di loro. Ogni giorno celebra in una chiesa diversa, tenendole così aperte tutte quante. In Val d’Arzino e Val Cosa (Pordenone), che di recente hanno entusiasmato anche “Financial Times” per i paesaggi incontaminati, don Gerometta con le sue comunità costruisce visibilità e possibilità di vita, alla luce del Vangelo. È atteso ovunque con affetto il parroco ad Anduins, Vito d’Asio, Clauzetto e negli altri paesi a lui affidati, dove fino a pochi anni fa c’erano 9 sacerdoti, ma ora la Messa non è più così scontata.
“Sono grato anch’io al popolo di Dio che il vescovo mi ha affidato e ai tanti fedeli che in Italia oggi aiutano i sacerdoti”.
La missione di don Italico è su chilometri di strade. Classe 1961, nato in Venezuela da emigranti friulani, poi seminarista a Pordenone, prete da 30 anni, ha costruito una profonda sintonia con la sua gente. “Quando celebro un funerale purtroppo finisce non solo una vicenda umana. Si chiude per sempre una casa, muore il cognome, una storia. È una cosa epocale – spiega don Italico – Invece la montagna deve vivere. Ci vorrebbero sostegni all’occupazione e alle famiglie, in risposta alla denatalità”. La vita di don Italico è missionaria. “Ma tutta la Chiesa lo è – risponde lui -. I sacerdoti e il Vangelo, che annunciano, sono ovunque mani tese alle creature. I social media sono un antidoto vano alla solitudine”. Se al catechismo i bambini sono pochi, con i fedeli ha fondato associazioni musicali, come “Santa Margherita”: un’orchestra d’archi giovanile aperta, con masterclass che ogni anno vedono arrivare studenti (e famiglie) da fuori. Inoltre, d’accordo col vescovo di Concordia-Pordenone, hanno fatto tornare questi altari di montagna al centro della vita diocesana, aprendo una Porta santa giubilare nel 2016 nella chiesa di San Giacomo, a Clauzetto, santuario che così è di nuovo meta di pellegrini, come nei secoli passati, in preghiera davanti alla reliquia del Preziosissimo Sangue.
Sono tanti i parroci di montagna che d’inverno vanno a celebrare la Messa in casa di anziani o ammalati, in continuo aumento. Come a Sospirolo e Gron, nel Bellunese, 3mila abitanti, sparsi in 10 frazioni. Così ha fatto per anni don Alfredo Levis, per motivi d’età diventato da pochi mesi collaboratore pastorale a Cadola, Col di Cugnan e Quantin. “Voglio star loro vicino e farli sentire importanti, in un mondo difficile da capire e che li emargina ogni giorno di più, li affida a badanti che magari non capiscono il dialetto, e faticano a comunicare: per questo ho bussato io con l’Eucaristia alla porta delle case.
Le persone sono persone sempre, indipendentemente dall’età.
Sono grandi per la fede – spiega don Levis -. Quand’è possibile, anche con i vicini, ci sediamo attorno al tavolo della cucina e leggiamo la Parola di Dio. Tutti mi dicono: ‘Che bello, venga ancora!’. Essere prete significa vivere il Vangelo con lo spirito di Gesù e trovarmi in mezzo alla mia gente come ha fatto Lui”. “Che il parroco sia venuto a celebrare nelle case è meraviglioso – spiega una parrocchiana -. Ho 88 anni e mio marito è malato, ma è importante poter continuare a vivere l’Eucaristia. Ci dà una forza veramente grande, ci aiuta nelle prove e illumina la vita”. Per donare: insiemeaisacerdoti.it