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Xenofobia e populismo. Cardinale Turkson, “i cristiani non devono tradire la loro fede”

M. Chiara Biagioni

“Assistiamo oggi al fenomeno della migrazione che ha come effetto l’esperienza di rifiuto, di resistenza, di non accoglienza verso chi non appartiene a una comunità. Un sentimento che prende diverse forme. Talvolta è in gran parte xenofobia, altre volte genera populismo. Alla base è evidente una difficoltà di trattare e accettare la diversità”. Così il cardinale Peter K.A. Turkson, prefetto del Dicastero vaticano per il servizio dello sviluppo umano integrale, spiega al Sir l’incontro di riflessione che si è aperto il 13 dicembre a Roma per discutere dei fenomeni di xenofobia e populismo che sono in forte crescita in seguito alla crisi migratoria. L’evento è promosso dal Consiglio mondiale delle Chiese, insieme al Dicastero vaticano, in collaborazione con il Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani. L’obiettivo è preparare il terreno per una Conferenza mondiale sugli stessi temi, in programma dal 21 al 24 maggio 2018. Ad aver accettato l’invito partecipanti da Germania, Italia, Zimbabwe e Costa d’avorio e rappresentanti delle varie Chiese che compongono l’organismo del Wcc, dalla Chiesa di Grecia, a quella evangelica luterana, metodista, anglicana. Ad aprire i lavori il cardinale Peter K.A. Turkson e il pastore Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese (Wcc). Alla base di questa stretta collaborazione ecumenica, vi sono da una parte la volontà a non rimanere in silenzio né tanto meno indifferenti di fronte ad un problema crescente come la xenofobia e il populismo, dall’altra la convinzione del ruolo cruciale che le Chiese possono svolgere nel compito di “promuovere una società umana giusta e più sana”. Il Sir ha chiesto al cardinale Turkson, come è nata l’idea di mettersi insieme per unire le forze messe in campo dalle Chiese.

Eminenza, perché la xenofobia e il populismo? Cosa vi preoccupa?
Più che una preoccupazione ci spinge la sfida che ci pongono le persone che si mettono in viaggio per trovare un nuovo habitat in cui vivere. Sono persone costrette ad abbandonare la loro terra. E questa non è mai una decisione facile da prendere. Ciò nonostante, trovano lungo il cammino spesso un muro, talvolta un rifiuto,

alcune volte addirittura odio.

La xenofobia, intesa come paura per lo straniero, si rivela anche sotto forma di resistenza raziale che viene attribuita alla diversità delle razze, talvolta anche all’appartenenza etnica e tribale. È una forma di rifiuto che si è molto amplificata in questi giorni. Alcune volte la paura si manifesta anche in base alla religione. L’Onu ha pubblicato diverse dichiarazioni contro la islamofobia, la cristianofobia. Fobie su fobie: non solo per il colore della pelle, non solo per lo straniero, ma anche l’appartenenza a una fede, a una religione, a un intero sistema di vita, può suscitare problemi. Sono fenomeni che testimoniano la difficoltà di accettare l’altro, soprattutto chi è diverso. E spesso questi sentimenti vengono sfruttati dai populismi per farne una ideologia.

E le Chiese, cosa hanno da dire per arginare queste derive ideologiche?
Hanno il racconto biblico che ci pone di fronte ad una verità basilare sulla natura umana. L’origine dell’uomo nella Bibbia è caratterizzato da due cose. La prima è che l’uomo è creato da Adamo ed Eva. La seconda è che nel racconto biblico, la moltiplicazione del genere umano avviene tramite la fraternità. La Bibbia non ci da altra forma di moltiplicazione degli uomini se non tramite questa fratellanza. Dal racconto biblico, si fanno dunque evidenti due affermazioni: siamo generati dallo stesso grembo per cui

siamo uguali di natura, abbiamo tutti la stessa dignità.

Essendo poi fratelli, siamo diversi tra noi e ciascuno con caratteristiche proprie. L’affermazione biblica ci mette di fronte a queste due caratteristiche del genere umano: abbiamo in comune il nostro essere generati dallo stesso grembo ma siamo diversi essendo fratelli.

Nella presentazione del vostro incontro, scrivete che durante questa tre giorni di lavoro esplorerete, in vista del Summit di maggio, iniziative concrete con cui le Chiese possono lavorare insieme per affrontare in modo proattivo questa crescente paura. 
Non c’è altro organismo che può proporre una via per superare questo problema. E la risposta dei cristiani è Gesù, il primogenito tra i fratelli. Così Gesù si presenta nei Vangeli e ci invita a riconoscerci fratelli tra noi. È Paolo che, sviluppando questo concetto, dice che non c’è greco ed ebreo. Ma l’ebreo è sempre ebreo e il greco è sempre greco. Ma in Gesù, questa appartenenza non costituisce barriera. In Gesù siamo un popolo unico e un’unica famiglia. Quando la fratellanza diventa problema, quando la diversità diventa un problema, il cristianesimo deve dire che non è così.

Cosa vi da la convinzione che le Chiese possono fare la differenza per sconfiggere la paura e costruire – come dite nella presentazione – “una società umana, giusta e più sana”?
Possiamo contribuire! La Chiesa condivide con la società le sue sfide e le sue speranze. Noi offriamo la dottrina sociale della Chiesa, che formula un orientamento, traccia un sentiero, che può aiutarci a vivere insieme come fratelli. Ciò che può essere un problema è che talvolta siamo noi, che tradiamo questa soluzione. Guardiamo a cosa è successo nel nostro recente passato.

A parlare di apartheid era il Sudafrica cristiano se non addirittura cattolico.

E così è stato per il razzismo negli Stati Uniti. E in Europa? Quindi i cristiani non devono tradire la loro fede. Sono chiamati a condurre l’umanità alla fratellanza universale. Ma per farlo devono essere fedeli alla parola di Gesù per essere veri evangelizzatori.

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