Tuffarmi in un libro di padre Turoldo è come immergermi in un bagno ristoratore, dove tutte le componenti della vita tornano alla loro primitiva genuinità. Dopo l’esortazione di Papa Francesco sulla necessità della preghiera e dell’osservanza dei giorni di festa, ho cercato il libro “la preghiera” riproposto dalla Mondadori più di un decennio fa ed ho provato la sensazione di uscire dalle risacche di un pregare per ottenere, ad una di “innamoramento” di Dio. E tutto questo su uno sfondo ricco di comparazione tra l’avvenire e il futuro che potrebbero sembrare sinonimi, invece mai sono apparsi così distanti. “ E’ salvifico, scrive Turoldo, distinguere l’avvenire dal futuro. Infatti non sarà l’avvenire a salvarci, se mai, sarà soltanto il futuro”. L’avvenire appartiene alla scienza, è lo scorrere del tempo secondo determinate leggi, è progresso scientifico, tecnico e operativo che va distinto da un’autentica crescita di umanità. E’ quello che possiamo constatare ogni giorno come il nostro tempo, in cui la scienza è giunta a grandi livelli, è anche il tempo “ di altissima ferocia, di genocidi, di torture, tempo di terrorismo, di violenza” e di guerre. E non solo ciò avviene per “ il sonno della ragione che genera mostri, ma anche per questo impazzito uso della ragione, quasi abbia buon diritto Faust che ringrazia Dio di averci dato la ragione così possiamo essere più raffinati nel male. È di un’attualità sconcertante tutto questo dopo quasi quindici anni dalla pubblicazione.
Ora è su questo sfondo che non possiamo fare nulla di meglio che inserire il discorso delle “preghiere come atto liberatorio e salvifico, come garanzia di umanità, come realizzazione della vera dimensione umana”. Ed è in questo contesto che assume particolare significato l’invito che in questi giorni ci è venuto da Papa Francesco, il quale ha ribadito la necessità di non trascurare la preghiera, di non subordinare la Santa Messa domenicale al divertimento e allo sport, specie nel weekend.
Nella smania di godere di tutto e subito, ci lasciamo ubriacare da tante novità, passando ore ed ore a bearci nei Centri Commerciali dove è predominante la sollecitazione dei bisogni materiali.
Così come il Santo Natale che stiamo celebrando in questi giorni, diventa il cenone, il panettone, il “babbo natale” con il sacco di giocattoli per concludersi in gite e divertimento in cui sfumano l’opera salvifica dell’Incarnazione, della Croce e il senso della Risurrezione.
“Le persone- Papa Benedetto XVI aveva scritto- rimangono intrappolate in un orizzonte tanto ristretto da impedire loro di vedere il cielo”.
Riappropriamoci del significato della domenica come giorno del Signore e delle grandi feste religiose. Diamo respiro alla nostra fede, essa di tanto in tanto ha bisogno di prendere le distanze dalle preoccupazioni all’interno delle quali è chiamata a dare prova di sé giorno per giorno. Scrive il teologo tedesco Pesch: “La fede ha bisogno di una “pausa”, per porsi ogni tanto dinanzi a Dio senza preoccupazioni e senza il costante assillo delle provocazioni cui è sottoposta da chi l’avversa; e questo non per evadere dalla dura e pesante realtà, ma per far riserve d’energie, riflettendo su ciò che è il fondamento della sua esistenza. Qui in ultima analisi si basa l’importanza e il diritto della preghiera, e in modo particolare l’importanza e il senso del culto della Chiesa”.
La liturgia Eucaristica domenicale, se ben seguita, ci insegna a pregare. Se la viviamo come celebrazione festosa della nostra fede, con orecchie attente e col cuore disposto alla preghiera, essa, sempre più spesso, è fonte di insegnamento e della forza. È il segreto della forza di papa Francesco. È stato lui stesso a rivelarlo nell’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”: “Che dolce è stare davanti a un crocifisso. O in ginocchio davanti al Santissimo, e semplicemente essere davanti ai suoi occhi! Quanto bene ci fa lasciare che Egli torni a toccare la nostra esistenza e ci lanci a comunicare la sua nuova vita!”. Per Bergoglio la preghiera è «La migliore arma che abbiamo, una chiave che apre il cuore di Dio», come amava ripetere anche san Pio da Pietrelcina.
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