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Nigeria: card. Onaiyekan (Abuja), “cristiani e musulmani, siamo tutti sotto attacco”

Patrizia Caiffa

Kamikaze nelle moschee e nelle  chiese cristiane, assalti e uccisioni di agricoltori, rapine a mano armata, rapimenti a scopo di estorsione. Si moltiplicano gli attacchi violenti in diverse zone della Nigeria, non solo al nord nello Stato di Borno, dove è attivo da tempo il gruppo jihadista nigeriano di Boko haram. Cristiani, musulmani, fedeli di religioni animiste vengono presi di mira indiscriminatamente. L’ultima strage è avvenuta ieri, 3 gennaio, in una moschea della città di Gamboru, nello Stato di Borno, in Nigeria. Secondo una prima stima della polizia nigeriana il bilancio è di almeno 14 vittime. E la moschea è stata completamente distrutta dall’esplosione. A Pulka, vicino Maiduguri, nello stesso Stato di Borno, a metà dicembre avevano perso la vita tre catechisti a causa di due donne kamikaze. In una chiesa nel River State, nel sud della Nigeria, durante la messa di Capodanno uomini armati hanno aperto il fuoco uccidendo almeno 17 fedeli. Altri attacchi contro i cristiani avvengono a Ilorin, nello Stato di Kwara, nell’ovest. Tutto ciò accade a poche ore da un video messaggio diffuso dal leader di Boko haram, Abubakar Shekau, nel quale rivendica una serie di attacchi messi a segno nelle ultime settimane. Altre voci parlano di oltre 700 prigionieri del gruppo terrorista che sono riusciti a fuggire. Da anni la Nigeria è senza pace. Ne abbiamo parlato con il card. John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja.

In questi giorni è in atto una recrudescenza di attacchi terroristici. Come descrive questa situazione?
Provo una grande pena.

C’è stata una grande speranza che il nuovo governo ci desse la possibilità di un Paese in pace, ma sono passati tre anni e siamo dove siamo.

La grande maggioranza dei nigeriani sono già delusi, non hanno più fiducia nel governo. Tutti questi attacchi contro chiese, moschee, rapine a mano armata, rapimenti, dimostrano che abbiamo un governo non stabile e non in grado di garantire la sicurezza. Purtroppo non accettano l’esistenza del problema. Dobbiamo continuare ad aspettare ma non abbiamo alternative. La situazione è seria. Nel frattempo si cerca di sopravvivere, di proteggersi, di stare attenti.

Non solo i cristiani vengono attaccati, anche i musulmani. Quali precauzioni per provare a difendervi?
Sì ci tengo a ribadire che anche quando le chiese vengono attaccate non si può interpretare come un attacco di musulmani contro cristiani. Qui si tratta solo di fanatici, di criminali.

Siamo tutti sotto attacco, cristiani, musulmani, gente di altre tribù. Tutti soffriamo a causa della scarsa sicurezza.

Il governo ha emanato norme di sicurezza nelle chiese per non lasciarci troppo esposti agli attacchi e a tutti questi kamikaze.

Negli ultimi tempi l’instabilità si è diffusa un po’ ovunque, non solo nello Stato di Borno. 
C’è un’area generalizzata di disordini. Al nord si parla di Boko Haram ma ci sono gruppi criminali ovunque, non solo al Nord.

Ci sono quelli che rapiscono le persone a scopo di estorsione. Ci sono gruppi che si armano per rivendicazioni etniche e tribali. Poi c’è il grande caso dei pastori Fulani che attaccano gli agricoltori

perché una legge ha vietato loro la pastorizia. I contadini non possono lavorare tranquillamente i propri campi perché arrivano e li uccidono. E il governo dice di non sapere cosa fare.

Il 17 dicembre Papa Francesco ha rivolto un appello per la liberazione delle sei religiose (tre suore e tre novizie) dell’Istituto Suore del Cuore Eucaristico di Cristo, rapite un mese e mezzo fa dal convento di Iguoriakhi. Si hanno notizie?
Non sappiamo nulla. Abbiamo chiesto alle forze dell’ordine, al governo della regione, perfino al presidente della Repubblica: non è possibile che sei persone spariscano nel nulla!

Chiediamo a tutti di fare qualcosa. Non sappiamo in che condizioni si trovino queste povere ragazze.

Continuiamo a pregare ma ci aspettiamo di più, soprattutto da parte delle forze dell’ordine.

È stato chiesto un riscatto?
So che è stato chiesto un riscatto ma non è quello il problema. Siamo disposti anche a trattare, basta che ci diano notizie. Anche se di solito non paghiamo riscatti, perché altrimenti non se ne esce.

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