Il 2018 potrebbe essere l’anno dei giovani. Non c’e nessuna proclamazione ufficiale in vista, ma sono i fatti a suggerirlo. Potrebbero essere i fatti a decretarlo.
Il Sinodo dei vescovi sui giovani, indetto da Papa Francesco per l’autunno di quest’anno, sta accendendo i riflettori su una condizione che ha bisogno proprio di questo:
che qualcuno si accorga di quale risorsa i giovani costituiscano per la società e per la Chiesa, oltre che per se stessi e per le loro famiglie, e al tempo stesso di quale carico di inquietudine, di difficoltà e di solitudine essi si trovino oggi ad affrontare.Spesso i giovani sono oggetto di giudizi impietosi, come stanno a testimoniare i diversi stereotipi che sono stati coniati per porre in evidenza i loro difetti: schizzinosi, bamboccioni, sdraiati… eppure bisognerebbe riflettere sul fatto che loro sono lo specchio di quella generazione adulta che oggi li disprezza. Non solo: dietro molti dei loro comportamenti si nascondono il disorientamento, la paura del futuro, la sfiducia radicale con cui affrontano la vita. Non mancano loro le ragioni per essere tristi e preoccupati: basti pensare alla fatica con cui i giovani riescono a inserirsi nel mondo del lavoro, spesso dopo una lunga anticamera e a prezzo di accettare impieghi anche lontani da ciò per cui hanno studiato; al protrarsi dei tempi per formarsi una famiglia e in complesso per poter compiere le scelte che danno alla loro vita la configurazione adulta; alla scadente prova di sé che molte istituzioni stanno dando e che li inducono a tirarsi indietro e a chiudersi in un loro mondo, impenetrabili dagli adulti. D’altra parte,
i cambiamenti rapidi ed accelerati che sono in atto nella società e che hanno uno dei loro motori principali nelle nuove tecnologie contribuiscono ad accrescere la distanza e il senso di reciproca lontananza tra le generazioni.
Molti studi sociali sostengono che i giovani di oggi sono la prima generazione che starà peggio dei propri padri e delle proprie madri. Si tratta di una consapevolezza che non contribuisce a generare nei giovani serenità e fiducia nel futuro, che appare loro molto più come una minaccia che una promessa, molto più carico di rischi che di opportunità. Il senso di solitudine che essi sperimentano accentua lo smarrimento che nasce dalla mancanza di punti di riferimento e dall’avvertire che il loro mondo è troppo diverso culturalmente da quello di chi li ha preceduti.
Finché gli adulti li lasceranno parcheggiati nel loro mondo, escludendoli dalle responsabilità da adulti, priveranno i vari contesti sociali dall’apporto di novità e di freschezza di cui i giovani sono portatori e di cui il mondo di domani ha assolutamente bisogno, per non condannarsi ad un invecchiamento che può preludere solo ad un lento declino. Questo vale anche per la comunità cristiana che vede con preoccupazione le nuove generazioni allontanarsi dal suo modo di pensare la vita, dalle sue attività e dalle sue proposte.
Proprio dai contesti ecclesiali stanno venendo i segnali di migliore consapevolezza della serietà della situazione giovanile.
Un risultato il Sinodo lo sta già raggiungendo: sta nel fiorire di Sinodi dei giovani nelle chiese locali, dalla quantità di iniziative che le comunità stanno proponendo per conoscerli meglio, per suscitare il loro ascolto, per interrogarsi su come creare comunicazione tra la loro sensibilità, la loro ricerca e ciò che la chiesa ha da offrire loro.
C’è da augurarti che il Sinodo sia l’occasione in cui i vescovi diranno la loro risposta alle attese della generazione giovanile, alle loro domande sulla Chiesa, al loro desiderio di trovare nella comunità cristiana relazioni significative, figure di testimoni, apertura verso i problemi del nostro tempo e sulle molte domande che esso pone alla coscienza credente.
Se il loro esempio venisse imitato anche da altre istituzioni, questo costituirebbe un grande risultato non solo per i giovani ma per la società nel suo insieme.