DIOCESI – Lectio delle Monache Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto
«In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, a Cafarnao, insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi».
Si può rimanere affascinati, positivamente colpiti dalla Parola che, ogni giorno, ci viene proposta. Una parola autorevole, che insegna, che chiede la possibilità di darci Vita. Una Parola che può lasciarci interdetti, che ci può colpire ma dalla quale non ci lasciamo smuovere. E rimaniamo lì, nella sinagoga, nel tempio, dentro le quattro mura di una qualsiasi chiesa insieme a lei, senza darle e darci la possibilità di generare Vita per la nostra vita.
«Ed ecco nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il Santo di Dio”». La Parola può farci gridare, perché mette a nudo quello che veramente siamo, nel bene e nel male, nel buono e nel meno buono. Una Parola che riconosciamo per quel che veramente è e vuol dire alla nostra vita ma che, a volte, ci troviamo a sfidare, a mettere alla prova o addirittura a respingere, nel tentativo di preservare il nostro piccolo spazio che non vogliamo cedere, in cui ci sentiamo apparentemente liberi e realizzati.
«Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: “Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono”». La Parola può incuterci timore, paura, soggezione; possiamo ritrovarci a “guardarla” con sospetto e circospezione; può essere oggetto di discussione senza però lasciare che ci metta in discussione, può essere oggetto del nostro parlare ma non soggetto e centro del nostro vivere.
Ma è proprio dell’ascolto di questa Parola, come leggiamo nella prima lettura tratta dal Libro del Deuteronomio, che il Signore ci domanderà conto. Non nei termini di un libro da leggere, da studiare, da imparare a memoria e, sul cui testo, poi, sostenere un esame: la Parola è segno concreto e evidente di un Dio presente per il suo popolo, in mezzo al suo popolo, un Dio, come canta il salmista, «che ci ha fatti», che è «roccia della nostra salvezza», per il quale noi siamo «popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce».
«Ascoltate oggi la voce del Signore» diventa, allora, il grido accorato di un Dio che guarda all’uomo solo in termini di vita. E la Parola è lo strumento unico e indispensabile all’uomo per discernere, oggi, nel quotidiano di ogni giorno, le grandi opere di vita che il Signore compie per ciascuno.
Non è un laccio, un vincolo oppressivo, come scrive Paolo alla comunità di Corinto, ma la possibilità di vivere interiormente unificati, con cuore indiviso la sequela di Cristo nella propria storia.
Leggiamo nel Vangelo: «La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea»: Gesù e la sua Parola fanno parlare di sé. Anche ciascuno di noi è chiamato a far “parlare” la Parola.
«Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dei, quel profeta dovrà morire»: la Parola parla attraverso la nostra esistenza, la nostra esistenza testimonia la Parola che salva: una vita, quindi, non autocelebrativa e autoreferenziale, ma segno di quella luce che, ogni istante, sorge ad illuminare, sanare, scaldare, consolare le nostre regioni e ombre di morte. E da sanati, non possiamo far altro che dire e gridare che per tutti c’è possibilità di vita, la Vita vera che è solo Cristo.
0 commenti