La sequenza di promesse elettorali sui temi economici può diventare, anche involontariamente, un momento di crescita della consapevolezza finanziaria di un Paese. Può permettere di individuare il buon amministratore di lungo periodo dal demagogo che cerca il consenso “tutto e subito, poi si vedrà”. In una campagna elettorale di poche settimane è troppo facile indicare l’eliminazione della riforma pensionistica del 2011 che ha preso il nome dell’allora ministro Elsa Fornero. Meno facile indicare chi pagherà, oggi o domani, il maggior costo. Facile promettere il reddito minimo a 1.000 euro, riduzione delle aliquote fiscali, delle tasse universitarie o assicurare l’introduzione di bonus a sostegno di categorie di cittadini votanti. I benefici sociali appaiono evidenti, un cittadino-elettore dovrebbe però poter valutare vantaggi e svantaggi. Immediati e futuri.
Sarebbe buona prassi di partito presentare una proposta di forte contenuto economico portando ai cittadini un confronto delle uscite di denaro pubblico e delle entrate necessarie per coprire l’esborso.
Questo “dare-avere” raramente entra nella proposta politica e gli elettori non sono in grado di capire quanto una proposta sia realistica e quanto frutto della ricerca di facile consenso. La stampa può fare la sua parte nel sollecitare precisazioni sui vari progetti e ricordare dati e dichiarazioni ufficiali. Tocca agli organismi tecnici, ai grandi centri di ricerca economica e alle università, mettere sotto esame la ricetta proposta sapendo che il risultato potrà essere sgradito all’uno o all’altro partito.
Il caso tipico, non l’unico, è l’eliminazione della Legge Fornero che, fra l’altro, ha posticipato i tempi di pensionamento. Se possibile da cancellare subito, nella prima riunione del consiglio dei Ministri. In questo caso, a chiarimento per l’opinione pubblica, è arrivato qualche elemento su cui ragionare: l’Inps, che ha tutti i numeri disponibili, ha misurato l’effetto della proposta: un costo aggiuntivo di 15 miliardi l’anno, un appesantimento del debito pensionistico di 85 miliardi (pari a 5 punti di Pil -Prodotto interno lordo), il maggior numero di pensionati è stimabile in 500-600mila unità per i primi anni. L’ente previdenziale stima inoltre che il costo di una pensione di 1.000 euro mensili alle casalinghe fra i 60 e i 65 anni si possa avvicinare ai 10 miliardi in cinque anni.
Piacciano o non piacciano questi numeri, ragionare per proposte e relative coperture sarebbe un approccio maturo per forze politiche che, prima ancora dei vincoli europei, vogliono tenere i conti di casa in ordine per non lasciare debiti alle generazioni future.
Sollecitare immediatamente un dibattito tecnico, nelle università o altrove, sulle proprie idee economiche conferirebbe ai proponenti una credibilità maggiore di un annuncio sparato nella bagarre.
Lo stesso può valere per la salute, l’ambiente e tanto altro che potrebbe andare a un esame tecnico.
Più complesso per tutti è ragionare sugli effetti che una decisione economica può produrre ed è il caso dei bonus che andrebbero a rafforzare i consumi (ma di quanto?) o una riduzione del peso fiscale a vantaggio di investimenti e occupazione (ma di quanto e in che tempi?). Una flat tax (tassa forfettaria piatta, riferita a Irpef-Ires) ridotta almeno al 23% unico in quanti anni potrebbe rilanciare l’economia in modo da bilanciare con l’espansione il minor gettito (misurabile in circa 30 miliardi) dei primi anni? Si potrà recuperare molto di più – dicono i proponenti – riducendo sommerso ed evasione fiscale.
Le proiezioni sul futuro sono utili anche se rimangono stime da verificare negli anni, influenzabili dai comportamenti dei soggetti economici e da contesti internazionali. Presentare correttamente agli elettori proposte e coperture, dividere il certo dall’auspicio, sottoporsi all’esame di esperti indipendenti e in generale favorire la comprensione da parte dell’opinione pubblica sarebbe una manifestazione di “buon governo”. Per chi avrà la responsabilità del Paese e chi svolgerà la funzione di opposizione.