All’inizio di questo tempo liturgico c’è una espressione che mi torna alla mente, anzi mi sembra quasi di riascoltarla dalla voce di mia madre quando si lamentava per la lentezza con la quale mi accingevo a prepararmi: sei lungo come la Quaresima. Chi la usa più, oggi, questa espressione per indicare qualcosa che si prolunga eccessivamente nel tempo, o magari la difficoltà del fare. Forse perché non viviamo come si dovrebbe questo tempo – amanti come siamo delle “scorciatoie” – iniziato con il mercoledì che ricorda come la vita di ciascuno di noi è davvero polvere; come la polvere che ci è stata posta sulla testa. Polvere è il nostro orgoglio, il nostro desiderio di prevalere; polvere è il nostro desiderio di sicurezza, il nostro affannarci; polvere è anche il potere quando questo assume i contorni della prevaricazione dei diritti umani, quando disprezza la giustizia e la pace.
Tempo di digiuno e di penitenza – e a ricordarcelo è anche il nome che diamo ai giorni della festa che precede le ceneri, cioè il carnevale, dal latino carnem levare, cioè togliere la carne dalle nostre mense – la Quaresima non è oggi celebrata, generalmente, come un tempo forte, di digiuno e di astinenza. Lo è ancora per i cristiani di tradizione ortodossa e orientale; tempo analogo lo vivono i musulmani nel digiuno, dall’alba al tramonto, per tutto il mese del ramadan, e lo vivono gli ebrei in occasione dello Yom Kippur, il giorno dell’espiazione. Per noi cristiani del mondo occidentale è sempre meno un tempo di rinunce e pratiche penitenziali.
Il Vangelo della prima domenica di Quaresima ci ripropone con forza il tema della prova, della rinuncia. Nelle poche righe del suo brano, Marco ci riporta, nell’essenzialità della narrazione, il periodo delle tentazioni vissute da Gesù: quaranta giorni tra le rocce aride del deserto di Giuda, poco lontano dal mar Morto. Il deserto, terra di tentazioni e di prova, torna più volte nei testi sacri, così come il numero quaranta. Per quaranta anni, lasciato l’Egitto, il popolo di Israele ha vagato nel deserto; quaranta sono giorni che Mosè trascorre sul Sinai; quaranta i giorni che Elia impiega per raggiungere il monte Oreb.
Gesù va nel deserto “per prepararsi alla sua missione nel mondo”. Una preparazione, dice Papa Francesco all’Angelus in una piazza san Pietro coperta dagli ombrelli, “che consiste nel combattimento contro lo spirito del male”. Anche per noi la Quaresima è “un tempo di agonismo spirituale, di lotta spirituale: siamo chiamati ad affrontare il Maligno mediante la preghiera per essere capaci, con l’aiuto di Dio, di vincerlo nella nostra vita quotidiana. Noi lo sappiamo, il male è purtroppo all’opera nella nostra esistenza e attorno a noi, dove si manifestano violenze, rifiuto dell’altro, chiusure, guerre, ingiustizie”.
La solitudine, il deserto sono molto spesso presenti nella vita umana, specialmente nei momenti di crisi, di transizione e di passaggio. Quanti deserti incontriamo nella nostra esistenza. Anche le nostre giornate qualche volta sono segnate dal deserto della tristezza, giornate buie, senza amore, senza perdono. Papa Francesco e i suoi predecessori hanno spesso messo l’accento sul processo di desertificazione dei cuori, che porta alla violenza, all’inaridimento, all’incapacità di accogliere l’altro nella sua fragilità.
La Quaresima “è un tempo di penitenza, ma non è un tempo triste, di lutto” dice Papa Francesco. È invito a non mostrarsi estranei: il male del mondo, scriveva Papa Paolo VI nella Populorum progessio, risiede soprattutto nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli”. Quaresima è tempo di conversione, e per fare questo “bisogna avere il coraggio di respingere tutto ciò che ci porta fuori strada, i falsi valori che ci ingannano attirando in modo subdolo il nostro egoismo”. Invece, afferma ancora il vescovo di Roma, “dobbiamo fidarci del Signore, della sua bontà e del suo progetto di amore per ciascuno di noi”. È “impegno gioioso e serio per spogliarci del nostro egoismo, del nostro uomo vecchio, e rinnovarci secondo la grazia del nostro Battesimo”.