Il popolo lo percepisce come un punto di riferimento, un leader, uno che sta a capo, che ha studiato le Scritture – scrive -. Una sorta di esperto, insomma, della vita spirituale. Uno di cui ci si può fidare; dal quale si va per chiedere aiuto, conforto, consiglio”. Don Patriciello lo considera anche “un uomo, il prete, che sull’altare, in modo misterioso ma vero, è Cristo stesso. Un uomo, però, che rimane pur sempre un uomo, con i suoi limiti, le sue fragilità, il suo essere figlio del tempo che lo ha partorito”. “Un prete non deve mai dimenticare che le sue parole, i suoi gesti, le sue scelte hanno un peso grande e terribilmente diverso dalle cose dette e fatte dai fratelli laici. La stola che indossa, il sacramento ricevuto lo configurano a Cristo e da Cristo il popolo si aspetta sempre e solo amore, giustizia, perdono, comprensione”. Il sacerdote cita due “controtestimonianze”.
La prima è quella di “un prete della mia diocesi (Aversa, ndr) che aveva consigliato a una famiglia di interrompere le cure mediche per la loro figliola affetta da patologia psichiatrica per affidarsi solo alla preghiera”. “Credo che lo abbia fatto in buona fede, ciò non toglie che ha sbagliato, non avrebbe dovuto farlo”. L’altro caso è quello di “un sacerdote dell’arcidiocesi di Cosenza che avrebbe avuto una relazione con una ragazza della sua parrocchia, che in seguito ha abortito”. “Chi sbaglia deve avere il coraggio di farsi avanti, assumersi le proprie responsabilità, chiedere umilmente perdono, accettare di pagare gli errori commessi e, per quanto possibile, rimediare in qualche modo”. “Nel condannare con fermezza questi e altri abusi, chiediamo al Signore la grazia della fedeltà, della carità e della verità”.