Lutero è sicuramente un personaggio controverso, sia per quanto riguarda il giudizio storico, che quello teologico. Detestato e amato, scomunicato e “riabilitato”, comunque la si voglia vedere, è innegabile che sia una delle figure più importanti nella storia della civiltà occidentale. Si è fatto un gran parlare di lui per via delle sue idee rivoluzionarie (cioè in rottura con l’insegnamento della Chiesa Cattolica) sui temi della fede, della grazia, della salvezza, della Chiesa. Più sconosciuto invece è il suo pensiero sulla realtà del matrimonio e della famiglia, tanto è vero che i testi proposti sono tradotti in italiano per la prima volta.
Pensiero conosciuto, si è detto, ma non per questo privo di interesse, visto che, come evoca il titolo stesso del volume, Lutero visse sia l’esperienza di monaco agostiniano, dal 1505 al 1521 (quando venne scomunicato), sia quella di marito (sposò nel 1525 l’ex suora cistercense Caterina von Bora) e di padre fino alla morte, avvenuta nel 1546.
Il merito di Lutero è stato quello di ridare lustro al matrimonio all’interno della riflessione teologica cristiana, anche se paradossalmente egli si rifiutò di riconoscerlo come sacramento (Lutero riconobbe solo tre sacramenti: il battesimo, l’eucaristia e la penitenza, anche se alla fine eliminerò anche quest’ultimo).
Per Lutero il matrimonio infatti non è un sacramento, ma qualcosa di “mondano”, da intendersi cioè come una realtà sul piano della creazione (natura, ragione) e non della redenzione (grazia, fede). Questa “derubricazione” da realtà sacramentale a realtà “mondana” è desunta, secondo Lutero, dalla errata traduzione da parte di San Girolamo di Ef 5,32: “Questo mistero (quello del matrimonio, ndr) è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!”. La parola mistero, in greco mysterion, venne tradotta da San Girolamo con sacramentum e questo avrebbe portato, sempre secondo Lutero, la Chiesa a comprendere la realtà del matrimonio in modo errato come un sacramento.
Il matrimonio è, secondo il “riformatore”, il destino naturale di ogni uomo e di ogni donna e, per questo, da preferirsi al celibato. In questi termini, Lutero capovolge l’insegnamento tradizionale (di allora) della Chiesa, per la quale lo stato celibatario è da preferirsi a quello matrimoniale, in quanto consente di dedicarsi completamente alle cose di Dio, secondo il motto bonum coniugium, melior virginitatis (=il matrimonio è un bene, il celibato è meglio).
È evidente che, se per Lutero il matrimonio non è un sacramento e appartiene al piano della natura, esso ricadrà sotto la giurisdizione civile e non sotto quella ecclesiastica. Infatti lo scambio del consenso fra gli sposi, nelle primitive liturgie luterane, avveniva all’esterno della Chiesa, mentre la benedizione avveniva all’interno, questo a significare la distinzione fra foro esterno (di competenza dello Stato) e foro interno (di competenza della Chiesa).
Lutero applica al matrimonio quella che è la sua visione dei rapporti fra Stato e Chiesa. Egli infatti, ha trasferito tutti i poteri religiosi, affidati da Cristo stesso alla Chiesa) all’autorità civile (che, non lo dimentichiamo, coprì Lutero proprio per consolidare il proprio potere) che è di fatto diventata capo dell’autorità religiosa, come è ancora ben visibile in Inghilterra, dove la regina (capo civile) è anche capo della Chiesa Anglicana (autorità religiosa). In tal senso, il matrimonio diventerà in Occidente sempre più una realtà laicizzata e priva del suo afflato mistico.
Come abbiamo brevemente visto, nel campo del matrimonio, come in tutta la sua vita, Lutero risulta controverso, contraddittorio, pieno di luci e di ombre, in linea con la sua teologia sub contraria specie. Quello del matrimonio potrebbe però essere un tema molto interessante per il dialogo ecumenico, visto che, sia la Chiesa cattolica che quella protestante sono per la stragrande maggioranza composte da laici sposati.