Massimo Giraldi e Sergio Perugini
C’era molta attesa per questa cerimonia degli Academy Awards, Oscar edizione 90. Anzitutto per l’appuntamento celebrativo, ma anche perché è stato un anno duro per Hollywood, dopo l’errore nella proclamazione del miglior film nell’edizione 2017 – tra “La La Land” e “Moonlight” (vincitore) –, così come per scandali legati alle molestie su attrici e attori, che hanno innescato poi i movimenti di protesta quali “Time’s Up” e “#MeToo”. Tensione vibrante, che però è scemata via in una notte delle stelle hollywoodiane fluida e senza troppi sussulti, con riconoscimenti a film di elevata qualità, tutto secondo pronostico (o quasi).
Guillermo del Toro trionfa, ma non stravince
Super favorito con 13 candidature “La forma dell’acqua” (“The Shape of Water”) di Guillermo del Toro ottiene 4 premi Oscar, portando a casa soprattutto il titolo di miglior film e regia. L’opera però non stravince, concedendo spazio anche altri titoli di qualità.
Ottiene due statuette pesanti “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” (“Three Billboards Outside Ebbing, Missouri”): miglior attrice Frances McDormand e attore non protagonista Sam Rockwell. Era data per certa la vittoria, inoltre, nella categoria sceneggiatura originale – dopo i riconoscimenti a Venezia, ai Golden Globe e ai Bafta –, ma l’Academy ha assegnato con un po’ di sorpresa la statuetta all’esordiente Jordan Peele con “Scappa. Get Out”. Un thriller indie a tinte horror, salutato come la presenza afroamericana agli Oscar.
Due premi vanno anche all’inglese “L’ora più buia” (“Darkest Hour”), con la vittoria di Gary Oldman nella categoria miglior attore protagonista e per trucco e acconciatura.
Ottengono, invece, premi tecnici “Blade Runner 2049” – fotografia ed effetti speciali – e il kolossal britannico “Dunkirk” diretto da Christopher Nolan, che conquista tre statuette (montaggio, montaggio sonoro e miglior sonoro).
Temi sociali al centro della cerimonia
Come da previsione, le sfide sociali e culturali della società contemporanea hanno trovato posto nella semi-blindata scaletta della cerimonia degli Oscar. In primo luogo, con gli interventi dei protagonisti sul palco. Sono da segnalare le parole di Guillermo del Toro, che ha espresso disappunto per le scelte spigolose della Presidenza Trump, il progetto del muro tra Usa e Messico: “Io sono un immigrato. La cosa più bella che fa il cinema è togliere le frontiere. Dovremmo pensare a questo e non ad alzarne delle altre”. A del Toro si sono uniti anche gli attori Lupita Nyong’o e Kumail Nanjiani, ricordando di essere entrambi dei “dreamers”: la Nyong’o è originaria del Kenya, mentre Nanjiani è un attore pakistano. Un appello, il loro, a favore di tutti i giovani “dreamers” minacciati dalle politiche di restrizione Usa.
Altro momento forte quando Frances McDormand, ritirando il suo secondo Oscar in carriera – il primo per “Fargo” nel 1997 –, ha chiesto a tutte le colleghe nominate di alzarsi in piedi per un applauso collettivo. L’attrice ha poi richiamato a due sfide importanti per il domani: inclusione e scrittura, storie che presentino attenzione all’universo femminile.
A chiudere il cerchio è poi stato il momento di riflessione legato alle violenze sulle donne e alle discriminazioni in generale, sessuali e razziali; un momento affidato alle attrici Ashley Judd, Annabella Sciorra e Salma Hayek, in prima linea nelle proteste degli ultimi mesi.
Nel complesso, possiamo affermare che molte tematiche hanno trovato un’occasione di ascolto e visibilità. Voci, però, che sono risultate “politically correct”, senza troppi guizzi emotivi, con rischi di perdita di senso o di intensità nella forza della denuncia.
L’Italia c’è, ma non troppo
Era dal 1999, da “La vita è bella”, che un film italiano non concorreva per la categoria miglior film (dunque, oltre il perimetro del miglior film straniero). Luca Guadagnino con il suo “Chiamami con il tuo nome” (“Call Me by Your Name”) ha ottenuto 4 nomination e nel corso della serata hollywoodiana ha portato a casa il premio per la miglior sceneggiatura non originale per lo scrittore inglese James Ivory. Un premio meritato, che forse incorona tardivamente la carriera dell’autore quasi novantenne (classe 1928), noto come regista di “Camera con vista” e “Quel che resta del giorno”.
Dalla Mostra di Venezia agli Oscar, tante le conferme
Se sono pochi i premi per l’Italia nel corso degli Oscar edizione 90, importante e prestigioso è il risultato della Mostra del Cinema della Biennale di Venezia, a guida Paolo Baratta e Alberto Barbera, che si attesta come laboratorio di sperimentazione cinematografica, trampolino di lancio per i principali premi internazionali, dai Golden Globe agli Oscar. Da Venezia 74, infatti, sono partiti alla volta di Los Angeles “La forma dell’acqua” (Leone d’oro come miglior film), “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” e “L’insulto”. Negli anni passati, a Venezia hanno trovato la prima attenzione internazionale “La La Land”, “Birdman” e “Gravity”. Un riconoscimento alla capacità di saper guardare lontano.