“Uno degli impegni difficili che si prospettano più urgenti e richiesti oggi proprio quello di lavorare perché avvenga” un “cambio di atteggiamento, abbandonando la cultura dominante ‘dello scarto’ e del rifiuto” nei confronti dei migranti e rifugiati”. Lo ha detto ieri a Roma il cardinale Pietro Parolin, aprendo i lavori dell’Assemblea Plenaria della Commissione internazionale cattolica per le migrazioni (Icmc) in corso dal 6 all’8 marzo. L’Icmc è un organismo con sede centrale a Ginevra, che riunisce i rappresentanti degli episcopati e delle organizzazioni impegnate con migranti e rifugiati in 50 Paesi del mondo. Oltre 100 i delegati, che l’8 marzo saranno ricevuti in udienza da Papa Francesco nella Sala Clementina. Papa Francesco ci ricorda che “è necessario un cambio di atteggiamento verso i migranti e rifugiati da parte di tutti – questa la citazione del cardinale Parolin -; il passaggio da un atteggiamento di difesa e di paura, di disinteresse o di emarginazione – che, alla fine, corrisponde proprio alla ‘cultura dello scarto ’ – ad un atteggiamento che abbia alla base la ‘cultura dell’incontro’, l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno, un mondo migliore”. Si tratta di “un lavoro d’informazione e di sensibilizzazione – ha precisato – nel quale la vostra Commissione può aiutare la Chiesa cattolica a dissipare tanti pregiudizi e paure infondate che riguardano l’accoglienza degli stranieri e – senza nasconderci l’impegno che l’accoglienza richiede sotto molti aspetti – diffondere una percezione equilibrata e positiva della migrazione”. Lo abbiamo intervistato a margine dell’incontro.
In Italia hanno vinto le elezioni proprio i populismi e i partiti che hanno impostato la campagna elettorale contro i migranti. La Santa Sede è preoccupata?
La Santa Sede sa che deve lavorare nelle condizioni che si presentano. Noi non possiamo avere la società che vorremmo, non possiamo avere le condizioni che vorremmo avere. Quindi credo che,
anche in questa situazione, la Santa Sede continuerà la sua opera, perché è un’opera di educazione che prende molto tempo.
Importante è riuscire ad educare la popolazione a passare da un atteggiamento negativo ad un atteggiamento più positivo nei confronti dei migranti. E’ un lavoro che continua, anche se le condizioni possono essere più o meno favorevoli.
Da parte della Santa Sede ci sarà sempre questa volontà di proporre il suo messaggio fondato sulla dignità delle persone e la solidarietà.
Quale consiglio dare alle organizzazioni cattoliche impegnate in prima linea nell’accoglienza e integrazione dei migranti, nonostante i tempi difficili?
Il consiglio è
impegnarsi per creare una visione positiva della migrazione.
Perché ci sono tanti aspetti positivi della migrazione, che all’interno di tutta questa complessità non si percepiscono. Consiglio di continuare il loro lavoro sul terreno perché questo le contraddistingue e caratterizza, ma al tempo stesso non avere paura di aiutare la popolazione ad avere questo nuovo approccio.
Ha accennato anche alla necessità di vie legali e sicure per evitare che i migranti si affidino ai trafficanti: la Chiesa italiana sta investendo molto sui corridoi umanitari. E’ una esperienza replicabile anche altrove?
Credo di sì.
E’ una di quelle buone prassi che potrebbero essere riprese e proposte in altre situazioni.
Sono iniziative positive che danno risultati molto incoraggianti. Goccia dopo goccia, l’importante è non scoraggiarsi anche se il fenomeno è grande. Lentamente stanno emergendo risposte valide e solidali. Dobbiamo insistere e riproporre queste esperienze per imparare a vivere la realtà delle migrazioni in maniera positiva.
La Santa Sede è molto impegnata nel lavoro sui Global compact Onu sulle migrazioni, i Patti globali che dovrebbero essere portati a termine entro fine anno. Quali auspici?
La Santa Sede è molto attiva ed ha già offerto il suo contributo attraverso la sezione Migranti & Rifugiati del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. E’ stata una delle poche istituzioni che lo ha fatto, questo vuol dire che consideriamo molto importante questo passaggio. Continueremo a farlo in questa fase di negoziato che dovrebbe portare all’adozione dei Global compact.
E’ possibile conciliare due esigenze presentate come opposte, la sicurezza dei cittadini e i bisogni di chi fugge da situazioni di pericolo?
Non è facile, dobbiamo riconoscerlo. Ma questa è una sfida che spetta alla politica. Bisogna conciliare le due esigenze, ambedue imprescindibili. E’ logico,
i cittadini devono sentirsi sicuri e protetti ma allo stesso tempo non possiamo chiudere le porte in faccia a chi sta fuggendo da situazioni di violenza e di minaccia.
Bisogna lavorare tutti insieme questo è un altro aspetto fondamentale.
E’ una indicazione di metodo: tenere conto della difficoltà, voler trovare delle soluzioni e farlo tutti insieme.
I migranti non sono numeri ma volti, ricorda sempre Papa Francesco.
Sì, il tema delle migrazioni può essere risolto secondo questo criterio: non guardare solo ai numeri ma cominciare a focalizzarci sulle persone, sentendo sulla nostra carne la loro sofferenza, come dice spesso il Papa. Il punto principale è cominciare a sentire come nostre le sofferenze di coloro che sono costretti ad uscire dai loro Paesi e ad incontrare pericoli e minacce per sopravvivere.
La cultura dell’incontro è quindi la risposta alla cultura dell’indifferenza?
Contro la cultura dell’indifferenza e dello scarto il Papa propone la cultura dell’incontro che vuol dire prendere su di sé le difficoltà e i problemi degli altri. Un incontro che diventa condivisione, non è solo una questione formale. Se sentiamo come nostre le sofferenze degli altri saremo spinti ad agire. Grazie a Dio ci sono tante persone, organizzazioni, e anche tanti politici, che hanno volontà di risolvere questi problemi e conciliare gli aspetti della sicurezza e la protezione dei migranti”.