Nel deserto, dopo l’uscita dall’Egitto, gli ebrei mormorano contro Mosè e Dio li colpisce con la piaga dei serpenti velenosi, i quali, mordono la gente causando la morte di buona parte del popolo.
Ribellarsi all’inviato di Dio è, infatti, ribellarsi a Dio, peccare di idolatria, facendosi adoratori di se stessi e della propria volontà.
Gli ebrei riconoscono, così, il proprio peccato e Mosè ottiene da Dio il segno della salvezza, segno che porta la vita solo se guardato con fede e con obbedienza alla Parola del Signore: «Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita». Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita».
Non vi è nulla di magico: Dio è il salvatore e guardare al serpente è una prova di fede!
Quel serpente diventa, per l’evangelista Giovanni, il segno anticotestamentario della croce di Cristo innalzata in mezzo all’umanità, polo di attrazione della fede di ogni credente e sorgente della salvezza.
Davanti alla croce di Cristo si decide il destino dell’uomo e si produce la grande divisione che separa la storia. Da un lato, il mondo che non crede ed è condannato, le tenebre, le opere malvage, coloro che fanno il male e odiano la luce; dall’altro, il mondo che crede ed è salvato, la luce, le opere fatte in Dio, coloro che operano la verità e vengono alla luce.
Non è un giudizio cinico da parte di Dio ma il risultato di una scelta, di vita o di morte, di bene o di male, che ciascuno di noi fa, di fronte a quel Dio che «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito».
In che cosa Dio ha tanto amato il mondo? Ce lo ricorda sempre il Vangelo di oggi: Dio non vuole che il mondo perisca, Dio desidera che l’uomo viva; Dio non vuole condannare il mondo, Egli vuole salvare il mondo; Dio non chiede altro che essere in comunione con l’uomo.
Un Dio che «premurosamente e incessantemente» si prende cura di ciascuno di noi perché ha «compassione» di ciascuno e di tutti, un Dio «ricco di misericordia», che mostra «la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi», un Dio che, continuamente, fa dono di sé per il suo popolo, un Dio che non abbandona nessuno e che, ogni giorno, ci dà la possibilità di riconfermare, la nostra relazione con lui, il nostro incontro con lui. Come per gli ebrei, in esilio a Babilonia, Dio chiama Ciro, re di Persia, per ricostruire la testimonianza viva della loro alleanza con Lui, ovvero il tempio in Gerusalemme, così, oggi, manda suo Figlio, offerta e dono di vita per quanti credono in lui, partecipazione all’esistenza stessa di Dio, alla sua intimità, alla sua eternità.