Nella “vicinanza”, i preti si giocano tutto. Perché “vicinanza” non è solo una virtù particolare, ma un atteggiamento che coinvolge tutta la persona e ha che fare con la carne della gente. Nella messa crismale del Giovedì Santo, il Papa ha ricordato che Gesù ha scelto di essere “un predicatore di strada, un predicatore vicino” e ha chiesto ai sacerdoti, nel giorno in cui rinnovano le promesse della loro ordinazione, di bandire la “cultura dell’aggettivo” e le verità astratte, che classificano le persone invece di chiamarle con il loro nome proprio. Bisogna fare come Maria, che con la sua “vicinanza di cucina” sta “dove si cucinano le cose importanti”.
Predicatore di strada. Gesù “avrebbe potuto perfettamente essere uno scriba o un dottore della legge, ma ha voluto essere un ‘evangelizzatore’, un predicatore di strada”. È la “vicinanza provocatrice” di Gesù, spiega il Papa.
“Questa è la grande scelta di Dio: il Signore ha scelto di essere uno che sta vicino al suo popolo”.
Il primato, allora, va alla pedagogia dell’incarnazione, dell’inculturazione: “Non solo nelle culture lontane, anche nella propria parrocchia, nella nuova cultura dei giovani…”.
Un prete c’è sempre e parla con tutti. “La vicinanza è più che il nome di una virtù particolare, è un atteggiamento che coinvolge tutta la persona, il suo modo di stabilire legami, di essere contemporaneamente in sé stessa e attenta all’altro”, l’identikit di Francesco:
“Quando la gente dice di un sacerdote che è vicino, di solito fa risaltare due cose: la prima è che ‘c’è sempre’- contrario del ‘non c’è mai’: ‘Lo so, padre, che lei è molto occupato’ – dicono spesso. E l’altra è che sa trovare una parola per ognuno. ‘Parla con tutti – dice la gente –: coi grandi, coi piccoli, coi poveri, con quelli che non credono… Preti vicini, che ci sono, che parlano con tutti… Preti di strada’”.
L’esempio citato è quello di Filippo, che andava di città in città ed era pronto in qualsiasi momento a farsi “sequestrare” dallo Spirito, pur di evangelizzare; anche la gente di buona fede, come il ministro della regina di Etiopia, battezzato lì, lungo la strada”.
No alla “cultura dell’aggettivo”. “La vicinanza è la chiave dell’evangelizzatore perché è un atteggiamento-chiave nel Vangelo”. Non è solo la chiave della misericordia, è anche la chiave della verità:
“La verità non è solo la definizione che permette di nominare le situazioni e le cose tenendole a distanza con concetti e ragionamenti logici. È anche fedeltà, quella che ti permette di nominare le persone col loro nome proprio, come le nomina il Signore, prima di classificarle o di definire la loro situazione”.
No, allora, alla “cultura dell’aggettivo”, una brutta abitudine che ci fa dimenticare che la verità è la persona, non l’aggettivo fatto sostanza.
Madonna della Vicinanza. La “verità-idolo”, per Francesco, la verità astratta, è una tentazione, un idolo comodo, a portata di mano, che può dare prestigio e potere, se si usano le parole evangeliche come un vestito, ma “allontana la gente semplice dalla vicinanza risanatrice della Parola e dei Sacramenti di Gesù”, perché non tocca il cuore. L’antidoto, per il Papa, è rivolgersi a Maria, “Madre dei sacerdoti”, e invocarla come “Madonna della Vicinanza”, maestra di quella premura che è servizio ma anche un modo di dire le cose:
“Bisogna saper stare lì dove si ‘cucinano’ le cose importanti, quelle che contano per ogni cuore, ogni famiglia, ogni cultura”, la raccomandazione di Francesco a proposito della “vicinanza di cucina”, come quella mostrata da Maria a Cana.
La samaritana e l’adultera. Declinare la “vicinanza sacerdotale” in tre ambiti, l’invito finale: l’ambito dell’accompagnamento spirituale, quello della Confessione e quello della predicazione. Per Francesco la vicinanza spirituale si impara contemplando l’incontro del Signore con la Samaritana, quella della Confessione meditando il passo della donna, con il “non peccare più” detto con quel tono giusto che “permette al peccatore di guardare avanti e non indietro”.
L’omelia è la pietra di paragone. “L’omelia è la pietra di paragone per valutare la vicinanza e la capacità di incontro di un pastore con il suo popolo”, le parole del Papa:
“Nell’omelia si vede quanto vicini siamo stati a Dio nella preghiera e quanto vicini siamo alla nostra gente nella sua vita quotidiana”.
“Se ti senti lontano da Dio, avvicinati al suo popolo, che ti guarirà dalle ideologie che ti hanno intiepidito il fervore. Se ti senti lontano dalla gente, avvicinati al Signore, alla sua Parola”, il doppio imperativo consegnato ai sacerdoti: solo così, assicura Francesco, si può diventare “un prete vicino ad ogni carne, un prete intercessore”.
“Il sacerdote vicino, che cammina in mezzo alla sua gente con vicinanza e tenerezza di buon pastore – e, nella sua pastorale, a volte sta davanti, a volte in mezzo e a volte indietro -, la gente non solo lo apprezza molto, va oltre: sente per lui qualcosa di speciale, qualcosa che sente soltanto alla presenza di Gesù”.
È nella vicinanza, conclude Francesco, che “ci giochiamo se Gesù sarà reso presente nella vita dell’umanità, oppure se rimarrà sul piano delle idee, chiuso in caratteri a stampatello, incarnato tutt’al più in qualche buona abitudine che poco alla volta diventa routine”.