“Non aver paura” della “santità della porta accanto”. È l’imperativo che fa da sfondo alla terza Esortazione apostolica di Papa Francesco – dopo l’Evangelii Gaudium e l’Amoris Laetitia – Gaudete et Exsultate, resa pubblica oggi. I santi non sono solo quelli già beatificati e canonizzati, ma il “popolo” di Dio, cioè ognuno di noi, chiamato a vivere la santità come un itinerario fatto di “piccoli gesti” quotidiani.
“Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente”, scrive il Papa: “Nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante”. È questa la “santità della porta accanto”, annota il Papa, che rende omaggio anche agli “stili femminili di santità” che hanno contribuito a riformare la Chiesa e alle “tante donne sconosciute o dimenticate” che ”hanno sostenuto e trasformato famiglie e comunità con la forza della loro testimonianza”.
Gnosticismo e pelagianesimo sono i due pericoli opposti da evitare, e non sono appannaggio solo dei “razionalisti nemici della fede cristiana”, ma anche della comunità cristiana, quando si assolutizzano le proprie teorie e si riduce l’insegnamento di Gesù a “una logica fredda e dura che cerca di dominare tutto”.
“Anche qualora l’esistenza di qualcuno sia stata un disastro, anche quando lo vediamo distrutto dai vizi o dalle dipendenze, Dio è presente nella sua vita”,
ammonisce Francesco denunciando la tendenza a “esercitare un controllo stretto sulla vita degli altri” e ricordando che “nella Chiesa convivono legittimamente modi diversi di interpretare molti aspetti della dottrina e della vita cristiana”. I nuovi pelagiani, invece, sono coloro che credono nella “giustificazione mediante le proprie forze”.
“Molte volte, contro l’impulso dello Spirito, la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in possesso di pochi”,
la denuncia. Questo accade quando “alcuni gruppi cristiani danno eccessiva importanza all’osservanza di determinate norme proprie, di costumi o stili”.
“Quando incontro una persona che dorme alle intemperie, in una notte fredda, posso sentire che questo fagotto è un imprevisto che mi intralcia, un delinquente ozioso, un ostacolo sul mio cammino, un pungiglione molesto per la mia coscienza, un problema che devono risolvere i politici, e forse anche un’immondizia che sporca lo spazio pubblico. Oppure posso reagire a partire dalla fede e dalla carità e riconoscere in lui un essere umano con la mia stessa dignità, una creatura infinitamente amata dal Padre, un’immagine di Dio, un fratello redento da Cristo. Questo è essere cristiani!”.
Nel terzo capitolo dell’Esortazopme, il Papa si sofferma ancora una volta sullo spirito delle beatitudini come la “Magna Charta” del cristiano. La grande regola di comportamento, in base alla quale saremo giudicati, è quella racchiusa nel capitolo 25 di Matteo.
La situazione dei migranti non è “marginale”, o “un tema secondario rispetto ai temi ‘seri’ della bioetica”.
La Chiesa non si può ridurre a una Ong, ma altrettanto “nocivo e ideologico è l’errore di quanti vivono diffidando dell’impegno sociale degli altri, considerandolo qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato, immanentista, comunista, populista”. Poi Francesco scende nei dettagli con un esempio concreto: “La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto”. “Non si tratta dell’invenzione di un Papa o di un delirio passeggero”, la precisazione.
“Il consumismo edonista può giocarci un brutto tiro”, ma “anche il consumismo di informazione superficiale e le forme di comunicazione rapida e virtuale possono essere un fattore di stordimento che si porta via tutto il nostro tempo e ci allontana dalla carne sofferente dei fratelli”, il grido d’allarme del Papa.
“ Anche i cristiani possono partecipare a reti di violenza verbale mediante internet e i diversi ambiti o spazi di interscambio digitale”. Persino nei media cattolici “si possono eccedere i limiti, si tollerano la diffamazione e la calunnia e sembrano esclusi ogni etica e ogni rispetto per il buon nome altrui”.
“Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza”. La Chiesa “non ha bisogno di tanti burocrati e funzionari, ma di missionari appassionati”.
La vita cristiana “è una lotta costante contro il diavolo, che è il principe del male”, che non è “un mito, una rappresentazione, un simbolo, una figura, un’idea”.
Da fuggire è inoltre la “corruzione spirituale”, che “è peggiore della caduta di un peccatore, perché si tratta di una cecità comoda e autosufficiente dove alla fine tutto sembra lecito: l’inganno, la calunnia, l’egoismo e tante sottili forme di autoreferenzialità”.
Per sapere “se una cosa viene dallo Spirito Santo o se deriva dallo spirito del mondo o dallo spirito del diavolo” l’unica strada è il discernimento, in un mondo in cui
“tutti, ma specialmente i giovani, sono esposti a uno zapping costante”.
“Senza la sapienza del discernimento – il grido d’allarme di Francesco – possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento”. Di qui l’invito a “non tralasciare di fare ogni giorno un sincero esame di coscienza”, per liberarci dalla “rigidità” e dalla tentazione di “ripetere il passato”.