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Domanda del lettore: “Invece che spendere per l’arte sacra, non è meglio aiutare i poveri?”

Per inviare domande, scrivere a questo indirizzo email: nicolarosetti@me.com

DIOCESI – Abbiamo ricevuto in redazione questa lettera e rispondiamo: “Entrando in molte chiese, anche nella nostra diocesi di San Benedetto del Tronto, è possibile notare numerose opere d’arte, alcune più belle, altre meno, ma quello dipende dai gusti.
Mi chiedo: è proprio necessario spendere dei soldi per abbellire le chiese, specialmente in questo momento della vita della Chiesa nel quale Papa Francesco ci indica l’aiuto dei poveri come una priorità assoluta?”

Ha risposto per noi il Teologo, Nicola Rosetti:
“La domanda permette di svolgere più di una riflessione. Di primo acchito mi rimanda a un passo del Vangelo, quello in cui Giuda, davanti al gesto di Maria (sorella di Lazzaro) che cosparge i piedi di Gesù con del preziosissimo olio di nardo, si scandalizza perché quell’olio poteva essere venduto e il ricavato dato ai poveri.
Annota l’evangelista Giovanni: “ Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro”(cfr. Gv 12,1-8). Rilancio quindi con una domanda che lascio aperta: quando solleviamo queste obiezioni, da cosa è mosso il nostro cuore? Da reale intento di aiutare i poveri oppure da snobbismo o, peggio, da interesse?

Venendo al cuore della domanda, mi sento di rispondere che l’arte non è un accessorio nella nostra fede. Non si tratta di decorare le nostre chiese con inutili orpelli. Nel cattolicesimo l’arte, e in particolare il tema dell’immagine, ha una dignità tutta teologica. Nella Genesi leggiamo che Dio stesso fu il primo costruttore di immagini: “E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò” (cfr Gn 1,27), mentre nel Nuovo Testamento leggiamo che Cristo “è immagine del Dio invisibile” (cfr. Col 1,15). Coscienti dell’importanza delle immagini, i cristiani, già nelle catacombe, iniziarono a dipingere ispirati dalla loro fede e da allora un flusso di bellezza continua a scorrere e a dipanarsi fino ai giorni nostri.

Il tema dell’immagine non è solo presente nelle Sacre Scritture. È stato addirittura oggetto di un concilio ecumenico, il secondo svolto a Nicea, nel quale i padri conciliari dichiararono la liceità del culto delle immagini. L’immagine, dunque, è una verità di fede e fa pienamente parte del patrimonio dogmatico della Chiesa: senza paura di essere smentiti, possiamo dire che non ci può essere una chiesa senza immagini.

Non bisogna poi opporre arte e carità, poiché, specialmente nel passato, l’arte stessa è stata una forma di carità: agli illetterati che non potevano leggere la Bibbia, la Chiesa ha insegnato la vita di Cristo, della Madonna e dei Santi attraverso i cicli pittorici: si pensi, solo a titolo d’esempio, a quelli della Basilica Superiore di Assisi (da dove è tratta l’immagine presente in questo articolo: un’opera d’arte illustra un’opera di carità compiuta da San Francesco!) o a quelli della Cappella degli Scrovegni a Padova. Più in generale, il cattolicesimo ragiona con logiche inclusive (sia l’arte, sia la carità) e non esclusive (o l’arte o la carità).
Chi ha detto che la cura dell’arte e la carità debbano contendersi necessariamente un podio!? Neppure Papa Francesco, da lei citato nella sua email mette in opposizione la carità e l’arte: il Papa che ha fatto costruire le docce per i tanti senza fissa dimora che gravitano attorno a San Pietro è lo stesso che ha offerto loro una visita gratuita ai Musei Vaticani (vedi qui), perché l’uomo non ha bisogno solo di pane, ma anche di bellezza.

Un’ultima osservazione. Noi guardiamo con ammirazione tutti i gesti concreti di carità che aiutano le persone indigenti. Ci piace, giustamente, la “carità corta”. Ma esiste una “carità lunga” che tutti dovremmo imparare ad apprezzare ed è proprio quella generata nel corso dei secoli dal patrimonio artistico promosso dalla Chiesa.
Opere d’arte nate per dare gloria a Dio e a beneficio dei fratelli incolti sono diventate motivo di attrazione per milioni di turisti che ogni anno vengono nel nostro Paese per ammirare quel patrimonio artistico di cui noi italiani siamo, anche grazie al fondamentale contributo della Chiesa, primi detentori a livello mondiale. L’arte è il nostro petrolio e tutto questo ha inevitabilmente creato straordinarie occasioni e opportunità di lavoro per centinaia di migliaia di persone. Un legame meno ovvio da cogliere, ma non per questo meno reale perché è carità aiutare i bisognosi, ma è anche carità fare in modo che uno non si trovi nel bisogno”.

Redazione:

View Comments (2)

  • La questione principale e che le opere d'arte e gli oggetti sacri di particolare pregio hanno valore sacrale. Essi espimono un mezzo per il quale si mette al centro la cristianità. La immagini sono usate come catechesi visiva a coloro i quali non sapevano leggere. I simulacri lignei portati in processione sono veicoli di significati cristiani. Quanto c'è di bello non si può considerare mezzo turistico ma si deve considerare mezzo di espressione cristiana. La carita' espressa in opere questo è il bene culturale. Un esempio sono le confraternite di occupavano di seppolture. DAVANO dignità a chi non poteva avere funerali degni. LE COMPAGNIE DELLA BUONA MORTE, hanno commissionato opere d'arte e CHIESE, questa non è carita' attraverso le opere. Se poniamo l'opera d'arte nel contesto sacrale e nelle funzioni tutto acquista senso e significato cristiano.

  • Cara Letizia,
    mi permetto di dissentire! Bisogna interrogarci su cosa è necessario leggere e su come leggere in ogni ambito umano.
    La vita è amore! L'espressione artistica cristiana racconta questo. Basta guardare un'Annunciazione per comprenderlo! Tutta la creazione è dono di Dio. L'espressione artistica è un dono inestimabile di carità, cioè dono dello Spirito Santo che nascendo in un tempo oltrepassa lo stesso tempo rimanendo un linguaggio comprensibile per tutti, perché parla dell'anelito più profondo dell'uomo. Questo anelito, che l'uomo lo sappia o no, è sete di Dio. L'arte sacra racconta questa meraviglia che resta per noi, e per chi verrà dopo di noi, come messaggio di un incontro vivo, vivificante e sempre possibile. Quindi non è uno spreco, ma una forma viva d'amore rivolta all'uomo. Dico questo solo perché ho avuto modo di sperimentare la carità nell'iconografia e allo stesso tempo di conoscere per grazia anche l'altra forma di carità che è incontro con la "carne" di Cristo. Il bene culturale di cui tu parli credo che non sia "una forma" a discapito dell'altra, quanto piuttosto una profonda e responsabile ricerca di Verità in ogni ambito della nostra vita.
    Buon cammino.
    Cordialmente.
    Ester