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Cardinale Bassetti a Bruxelles: “Sogno una nuova Europa solidale, capace di essere una casa comune”

Chiara Biagioni

Entrare nei palazzi delle istituzioni europee significa anche perdersi tra mille corridoi, scale mobili, ascensori, sale riunioni e un via vai di gente, ognuno con il suo badge e la sua missione particolare. Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, lo ha fatto. Con coraggio, sempre con il sorriso e la mano tesa. Accompagnato da mons. Mariano Crociata, vicepresidente della Comece, e mons. Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio (già delegato Cei alla Comece). La piccola delegazione della Chiesa italiana ha avuto, dal 22 al 25 aprile, una serie d’incontri ad alto livello: il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, un rappresentativo gruppo di parlamentari europei italiani, il vice presidente Frans Timmermans, e Luca Jahier, neo eletto presidente del Comitato economico e sociale europeo. “Ho trovato delle persone di una estrema apertura”, ha confidato il cardinale, al termine della sua impegnativa visita a Bruxelles. Lo abbiamo intervistato.

Tre giorni a Bruxelles: l’Europa in Italia non gode di grande considerazione. I populismi e gli egoismi nazionali aumentano. Recentemente il presidente Macron ha parlato del pericolo di una “guerra civile” in Europa. Eminenza, perché è venuta qui? Quale parola ha voluto dire all’Unione europea? 
Sono venuto qui per ascoltare, conoscere e dialogare. All’Europa vorrei dire solo una parola: ritrovi se stessa! Sono le parole che disse Francesco quando ritirò il Premio Carlo Magno nel 2016. Parole semplici ma fondamentali. Che ribadiscono un magistero pontificio ricchissimo di sollecitazioni. Da Paolo VI ad oggi abbiamo una messe vastissima di spunti ed esortazioni ancora in parte inesplorate. Personalmente

sogno una nuova Europa solidale che sappia essere veramente una casa comune

– e non solo un insieme di strutture – e che si fondi su un nuovo umanesimo europeo. Tre parole per descrivere questa nuova Europa: popoli, carità e cultura. All’interno di una cornice comune in cui il cristianesimo non è un residuo arcaico ma il cuore pulsante di una storia che, come disse padre Alexandr Men’, “non fa che cominciare”.

Che cosa sarebbe l’Italia senza l’Europa come molti oggi stanno proponendo?

L’Italia ha un bisogno forte dell’Europa e l’Europa ha una necessità vitale dell’Italia.

Non credo che nessuno ci guadagnerebbe da un ipotetico distacco. Un distacco che, tra l’altro, da un punto di vista storico, geografico, spirituale e culturale non ha alcuna ragion d’essere. Si può ovviamente discutere sulle modalità politiche di stare assieme – su questo non ci trovo nulla di male che si possa aprire una discussione – ma l’Europa e l’Italia hanno un cammino comune millenario che preesiste al processo di unità politica degli ultimi decenni. Oggi, di fronte, allo spostamento del baricentro del mondo sempre più lontano dal vecchio continente, penso che sia assolutamente necessario rilanciare un progetto europeo in cui l’Italia possa svolgere un ruolo da attore protagonista. Rilanciare significa anche rivedere, migliorare, riformare: non distruggere.

Molto preoccupante è la situazione dei migranti al confine con la Francia e con la bella stagione riprendono gli sbarchi. Anche se i migranti in Libia, Libano, Siria, Iraq… non hanno mai smesso di camminare alla ricerca di un futuro possibile. L’Italia si è sempre sentita sola nella gestione di questo fenomeno. Dove è l’Europa? Quale via di soluzione possibile seguire per una giusta gestione dei flussi migratori? 
Questo dei flussi migratori è un tema delicatissimo su cui ho parlato spesso. E ripeto quello che ho sempre detto in questi anni: in primo luogo, serve un’azione coordinata a livello europeo e non è possibile lasciare sola l’Italia (o la Grecia) nel gestire l’emergenza di un fenomeno complesso e drammatico. Su questo punto è fondamentale il ruolo dell’Europa, ma se vincono i singoli egoismi nazionali non c’è Europa che tenga e l’innalzamento dei muri è, da un lato,

il triste epilogo di chi non sa dare una risposta

e quindi preferisce chiudere gli occhi; e dall’altro lato, è un tragico avvertimento per quello che potrebbe accadere in futuro. In secondo luogo, ho sempre detto che bisogna coniugare carità e responsabilità nel gestire i flussi e nell’accoglienza. La “carità è paziente” e “benigna”, diceva san Paolo. Occorre quindi essere prudenti senza correre il rischio di alimentare le paure o, ancor peggio, di lasciar scoppiare una “guerra tra poveri” nelle periferie delle nostre città. Siamo di fronte, dunque, ad una grande sfida per l’Europa e i singoli Paesi: servono idee e progetti, serve la grande Politica quella con la “P” maiuscola a cui faceva riferimento La Pira. La Chiesa italiana, proprio partendo da La Pira, vuole fare la sua parte per contribuire a risolvere questa sfida di eccezionale importanza ed ha proposto “un incontro di riflessione e spiritualità per la pace nel Mediterraneo”.

Lei sta parlando spesso di questa iniziativa. Ci può spiegare in che cosa consiste? Perché ora? Con quale scopo? Perché le Chiese?
Alla base di questo incontro ci sono due elementi da evidenziare con decisione. Innanzitutto, l’intuizione lapiriana che vedeva profeticamente il Mediterraneo come una sorta di “grande lago di Tiberiade” che accomunava “la triplice famiglia di Abramo”. Dopo secoli “di ideologia dello scontro”, affermava La Pira, è venuto il momento in cui si può trasformare il Mediterraneo in un luogo di incontro e di pace. E questa trasformazione poteva essere realizzata grazie al dialogo interreligioso. In secondo luogo, questo incontro non sarà né un convegno di intellettuali accademici, né un summit di politici, ma sarà un incontro tra i vescovi del Mediterraneo. È un punto di vista nuovo e diverso. Finora mai realizzato. Ai pastori spetterà il compito, prima di tutto, di fornire la loro visione dei fatti sul Mediterraneo: e poi di dialogare, di mettere in comune le loro esperienze e, soprattutto, come direbbe Francesco, di parlare con parresia. Infine, dovremo anche cercare di avanzare delle proposte concrete: sulle migrazioni, ma non solo. Bisogna andare in profondità. È un tentativo, ovviamente. Ma lo ripeto:

è un tentativo nuovo mai realizzato prima d’ora.

Mi auguro che, con l’aiuto dello Spirito Santo, sia un tentativo fecondo.

Manca una politica internazionale europea. E i recenti attacchi in Siria lo dimostrano. Quale responsabilità ha oggi l’Europa per la pace nel mondo?
L’Europa è stata per secoli il centro del mondo: il cuore del potere politico-militare mondiale ma anche il centro di maggiore importanza religiosa e culturale. Oggi – e non da oggi – l’Europa non svolge più questo ruolo politico nel mondo ma, a mio avviso, può ancora esercitare una sorta di leadership morale globale, sul piano della proposta culturale e sociale. Queste grandi sfide internazionali come le migrazioni ci pongono davanti ad un bivio: o ci chiudiamo a riccio oppure rilanciamo con una nuova proposta che magari possa fare da modello al mondo intero. Io sono assolutamente convinto che sia doveroso percorrere la seconda opzione. E come Chiesa, infatti, proponiamo questa grande assise sul Mediterraneo. Per far questo, però, occorre avere fede, speranza e carità. Ed è necessario, soprattutto, non avere paura.

Perché, come ho già detto in passato, “chi ha paura non ha futuro”.

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