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Ac e politica: “l’Italia ha bisogno di cittadini responsabili, che pensano con la propria testa”

Matteo Truffelli

Nell’Amoris laetitia Papa Francesco afferma che “siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle”. L’esortazione apostolica è, come sappiamo, dedicata all’amore in famiglia, ma la stessa logica e lo stesso impegno possiamo applicarli alla politica. Come associazione laicale fortemente orientata alla formazione, non intendiamo affrontare i tanti temi del nostro tempo avendo come obiettivo principale quello di esprimere un’opinione in merito su tutti gli aspetti della vita sociale e politica, di dire “come la pensiamo” o, come si dice spesso, di “prendere posizione”. La nostra preoccupazione non deve essere tanto quella di dire ad altri cosa pensare, ma fare tutto il possibile per spingere e aiutare chiunque a pensare, e a farlo in maniera critica e consapevole, circostanziando e argomentando le proprie convinzioni.
Ciò richiama un’obiezione che talvolta viene avanzata all’Azione cattolica, sostenendo che così si perde visibilità, che i laici cattolici rischiano l’afasia, mostrandosi incapaci di “fare opinione”. Che è un modo per non assumere posizioni scomode. Invece io guardo le cose da un altro punto di vista. Non si tratta di un modo per sottrarci a una responsabilità.Penso invece che questo sia un metodo difficile, faticoso, poco gratificante ma responsabile e responsabilizzante di stare dentro il nostro tempo.Perché ciò di cui sembra aver bisogno oggi il nostro Paese, più di ogni altra cosa, è di essere abitato da cittadini consapevoli, capaci di giudicare e impegnarsi rifuggendo strumentalizzazioni ideologiche, manipolazioni di parte e semplificazioni demagogiche. Cittadini in grado di rifiutare una politica ridotta a slogan e ricette miracolose. Le persone hanno più che mai necessità di essere aiutate a informarsi e formarsi in maniera seria e pertinente, a confrontarsi e discutere liberamente e pacatamente.
L’Italia ha bisogno di cittadini che non si accontentino di dare ascolto a chi parla più forte, o in maniera più suadente. Cittadini che reclamino una politica capace di rompere gli schemi da talkshow. Che siano coscienti che non tutte le fonti d’informazione sono credibili e valgono allo stesso modo. E accettino il fatto che anche il loro è un punto di vista orientato, parziale. Tutti noi dobbiamo essere convinti che, una volta che ci formiamo un’opinione, dobbiamo metterla a confronto, seriamente, con le opinioni degli altri, restando aperti a rivedere le nostre idee o a trovare sintesi ulteriori rispetto alle posizioni di partenza. C’è bisogno di cittadini che siano avvertiti che quasi mai, nella realtà, le cose sono semplici e nette, bianche o nere.
Contribuire a far sì che tutto ciò si realizzi, rappresenta un modo importante per prendersi cura della democrazia,creando le condizioni per il suo funzionamento sul piano del confronto pubblico e della libera partecipazione dei cittadini. È un compito che avvertiamo come nostro.
Non ci nascondiamo, del resto, che questo è un percorso difficile e tutt’altro che scontato. Ma la risposta alla difficoltà che molti possono legittimamente incontrare rispetto al tentativo di formarsi un’opinione criticamente consapevole non può essere quella di offrire loro giudizi chiari preconfezionati, dei sì o dei no pronunciati da qualcun altro. Vorrebbe dire, in fondo, rimanere legati a un modo “clericale” di pensare l’Azione cattolica e il suo rapporto con la cultura, ma anche con i propri aderenti, rispetto ai quali l’associazione finirebbe per autoattribuirsi il compito di fornire un’opinione autorevole cui ispirarsi o, peggio, adeguarsi. Anche questo secondo me è clericalismo, a prescindere che sia praticato dai chierici o da noi laici: la convinzione di essere chiamati a pensare e decidere per altri, spiegando loro cosa pensare, illudendoci, così, di concorrere realmente a cambiare le cose.
Sono peraltro consapevole che a volte è necessario dire qualcosa “nel merito” su temi rilevanti per la vita del Paeseesprimendo un’opinione senza accontentarsi di invitare le persone a formarsi un proprio giudizio consapevole. Certamente tra le responsabilità di una realtà come l’Azione cattolica c’è anche quella di offrire delle riflessioni e valutazioni, se questo può servire al confronto pubblico su ciò che riguarda il bene di tutti e ad aiutare le persone a formarsi un’opinione in merito. Limitarci a questo, però, vorrebbe dire rimanere fermi a un modo vecchio di concepire il ruolo dell’associazione in questo campo. Un ruolo che è stato forse importante esercitare in un’altra stagione politica, culturale e anche ecclesiale, ma che probabilmente non è più adatto per questo tempo, in cui ci viene chiesto di fare uno sforzo autentico per cambiare paradigma e imparare a mettere sul serio in pratica la convinzione che “il tempo è superiore allo spazio”, e che quello che importa è “occuparsi di iniziare processi” lavorando “a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati”. “A volte – scrive a questo proposito Papa Francesco – mi domando chi sono quelli che nel mondo attuale si preoccupano realmente di dar vita a processi che costruiscano un popolo, più che ottenere risultati immediati che producano una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana” (Evangelii gaudium, nn. 222-224). L’Ac dovrebbe sempre più far parte dei primi, non dei secondi.
Ritengo, insomma, che oggi non sia più possibile identificare il contributo che l’associazione è chiamata a portare alla costruzione di una società migliore con il compito di “prendere posizione” sulle varie questioni presenti nel dibattito pubblico.All’associazione spetta il compito, non meno impegnativo e complesso, di favorire lo sviluppo di quei percorsi di discernimento, di dialogo e confronto di cui avvertiamo tanto la necessità,innescandoli quando occorre, accompagnandoli e sostenendoli sempre, alimentandoli con idee e criteri di giudizio, pur avendo la consapevolezza di non poterne predeterminare l’esito. Non per mancanza di coraggio, non per rimanere al riparo dalle polemiche e nemmeno per timore dei tanti haters che popolano i social network. Ma perché ci fidiamo delle persone, della loro capacità di giudizio, e ci fidiamo dei tempi lunghi dei processi cui possiamo dar vita insieme.

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