Immaginate di trovarvi in un campo di calcio, nel pieno di una partita. Immaginate che vi si avvicini l’arbitro e vi inizi a dire: “Ma no, dai! Basta con questa storia che uno durante la partita deve fare goal! Poi vi trovo così affaticati! Certo che è proprio un incaponimento il fatto che si debba giocare solo con i piedi! Facciamo così: per venirvi incontro, mettiamo la possibilità di passarsi la palla con le mani, così è tutto più semplice!”.
Ora, quello che nel campo sportivo vi sembrerebbe un’assurdità è la quotidianità nel mondo della scuola. Non passa giorno che un insegnante “illuminato” o un pedagogista snaturi il compito e la missione della scuola attraverso la redifinizione di quello che nelle aule scolastiche bisognerebbe fare. Questa attività di riscritturazione dei fini e dei metodi scolastici passa attraverso la denigrazione della cosiddetta “lezione frontale”, qualla pratica ormai considerata superata nella quale c’è un insegnante che spiega, degli alunni che ascoltano e di nuovo un insegnante che verifichi quello che gli alunni hanno capito.
L’ultimo attacco, in ordine di tempo, alla lezione frontale è venuta dal pedagogista Daniele Novara, secondo quanto riportato in un articolo della rivista specializzata La Tecnica della Scuola. Per l’esperto di educazione “La lezione frontale, su cui si basa ancora il nostro sistema scolastico, si fonda su una grande illusione: gli alunni devono ascoltare”. Il ragionamento è più o meno questo: gli alunni non sanno più ascoltare, dunque dobbiamo trovare strategie didattiche ed educative che riescano a superare questo dato di fatto. Ma è proprio questa la grande sfida che abbiamo davanti: se i nostri ragazzi non sanno più ascoltare (come una larga fetta di adulti) bisogna interrogarsi sul perché e non aggirare l’ostacolo. L’atto stesso di imparare ad ascoltare ha un grande valore ed educa l’alunno a non sentirsi il centro del mondo. C’è una sproporzione infinita fra la grandezza del mondo da conoscere e la nostra piccola testolina e, dal riconoscimento di questa evidenza, dovrebbe nascere in noi il desiderio di mettersi in ricerca. In ultima analisi, imparare ad ascoltare significa imparare ad essere umili. Cosa propinano invece oggi i pedagogisti? È come se dicessero: “Non devi essere uno spettatore davanti alla realtà, ma devi essere un protagonista”. L’apprendimento si sposta così dall’oggetto da conoscere al soggetto che indaga e questa è la morte dell’apprendimento, della didattica, della scuola e della cultura, perché solo un “io” educato allo stupore e alla fatica del conoscere conosce veramente, il resto è un ripiegamento egoistico su se stessi. Non andrò più alla scoperta del mondo che mi circonda, ma sarò inevitabilmente chiuso e appiattito sul mio ego, evitando di guardare più in là del mio naso.
Quando questa impalcatura didattica – che per secoli ha garantito lo sviluppo della conoscenza e del sapere – cade, si arriva ad affermare, come fa Daniele Novara, che “la scuola italiana è ingabbiata nella didattica della risposta esatta, con quiz e test a crocette che sviliscono le capacità di apprendimento di ragazzi”. Se uno studente dà una risposta esatta, questo è percepito come una gabbia! Una risposta esatta è un giudizio di verità, cioè una corrispondenza fra quello che ho in testa e la realtà: come si può pensare che una cosa del genere costituisca una gabbia?!
Come andrebbe impostata allora una lezione per il pedagogista Daniele Novara? Ecco la risposta: “Impostare una situazione stimolo aperta, che generi problemi e domande maieutiche. Significa attivare e creare un momento di impatto e di sorpresa. Qualcosa che favorisca anche un decentramento, e l’incontro con l’inedito. È il meccanismo della motivazione estrinseca che però questa volta, invece di essere impostato classicamente sulla punizione o la gratificazione, funziona come stimolo. Ti attivo, ti coinvolgo, ti sorprendo, ti muovo”. Sarebbe bello chiedere a Daniele Novara: “E chi l’ha detto che tutto questo non possa avvenire durante una lezione frontale?”. Forse che un insegnante di storia, nel raccontare come si sono svolti dei fatti, non può generare problemi e domande maieutiche nei propri alunni? Forse una professoressa di lettere che propone ai suoi alunni lo sguardo di Leopardi sulla realtà non crea momenti di impatto e di sorpresa o un incontro con l’inedito?
A mio avviso, le ultime mode pedagogiche creeranno una massa di frustrati e infelici. Se la scuola nasconde ai ragazzi la fatica del conoscere, fonda tutte le sue attività sul “piacere”, se in ultima analisi promette agli studenti quello che, per chi ci crede, si può trovare solo in paradiso, quando si ritroveranno nel mare aperto della vita, faranno esperienza di smarrimento e di delusione, perché tanto nelle relazioni affettive, quanto nel campo lavorativo, non sarà realisticamente possibile costruire tutto a partire dalla nostra misura e se non siamo stati educati a questo principio di realtà, inevitabilmente saremo costretti all’infelicità. Senza accorgercene, nelle nostre scuole stiamo costruendo una società di attori, senza che vi sia un pubblico, una miriade di persone che parlano e si esprimono senza che vi sia qualcuno che ascolti, stiamo modellando una nuova Babele.
La cosa “divertente” è che se uno studente universitario di Scienze della Formazione si presentasse a un esame affermando quanto sostenuto in questo articolo, molto probabilmente sarebbe bocciato!! Bocciato per non seguire quelle che sono solo mode, come dimostra un’altra vexata quaestio: quella della didattica per competenze, introdotta da pochi anni nel nostro sistema didattico, “copiando” quello americano. Probabilmente chi ha spinto per questa innovazione riteneva di essere al passo con i tempi, di essere all’avanguardia, ecco però che gli americani sulla didattica per competenze stanno facendo un dietro front come si può leggere in quest’altro articolo de La Tecnica della Scuola!