Patrizia Caiffa
“Tutti i mafiosi sono peccatori, quelli con la pistola e quelli che si mimetizzano tra i cosiddetti colletti bianchi”. Non fanno distinzioni e non fanno sconti i vescovi siciliani nella Lettera diffusa oggi dalla Valle dei Templi di Agrigento, a 25 anni esatti di distanza dall’appello di San Giovanni Paolo II ai mafiosi: “Convertitevi! Una volta, un giorno, verrà il giudizio di Dio”. La Conferenza episcopale siciliana prende atto, nel documento intitolato appunto “Convertitevi!”, che “la mafia continua a esistere e a ordire le sue trame mortali” in Sicilia, nel resto d’Italia e all’estero. E prende di nuovo posizione contro le processioni e le “feste pseudo-religiose” dove “non si tributa più onore al Signore ma ai capi della mafia”. Nella nove pagine della lettera sono contenute riflessioni lucide sulle ragioni della persistenza degli atteggiamenti mafiosi in Sicilia, con indicazioni e proposte a carattere pastorale. I vescovi non si stancano di ripetere che “la mafia è peccato”, “la mafia è incompatibile con il Vangelo” e ricordano che quando Papa Giovanni Paolo II chiese loro di convertirsi la mafia rispose con gli attentati del luglio 1993, a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro. E, soprattutto, “con l’agguato in cui cadde – il 15 settembre 1993 – il beato Pino Puglisi, parroco nel quartiere Brancaccio, a Palermo”.
“Tutti i mafiosi sono peccatori”. “Tutti i mafiosi sono peccatori: quelli con la pistola e quelli che si mimetizzano tra i cosiddetti colletti bianchi, quelli più o meno noti e quelli che si nascondono nell’ombra”, affermano i vescovi siciliani: “Peccato è l’omertà di chi col proprio silenzio finisce per coprirne i misfatti, così facendosene – consapevolmente o meno – complice –. Peccato ancor più grave è la mentalità mafiosa, anche quando si esprime nei gesti quotidiani di prevaricazione e in una inestinguibile sete di vendetta.
Peccato gravissimo è l’azione mafiosa, sia quando viene personalmente eseguita sia quando viene comandata e delegata a terzi”.
Allo stesso modo le organizzazioni mafiose sono “strutture di peccato”, perché “con i loro intrighi e i loro traffici si rivoltano contro la volontà divina” e producono “la morte fisica, che le azioni mafiose causano dolorosamente tra gli esseri umani” e “la morte radicale, che rimarrà – nel momento supremo del giudizio di Dio – inconciliabile con la vita eterna”. La mafia, precisano i vescovi, “si configura non solo come un gravissimo reato, ma anche come un disastroso deficit culturale e, di conseguenza, come un clamoroso tradimento della storia siciliana. Più precisamente, come un’anemia spirituale. E, per questo motivo, anche come un’incrinatura fatale nella virtù religiosa, che finisce così per risultare depotenziata e travisata”.
“No a feste pseudo-religiose dove si onorano i capi mafia”. “Non possiamo tollerare che le festività di Cristo Gesù, di Maria Madre sua e dei suoi santi degenerino in feste pseudo-religiose, in sagre profane, dove – nella cornice di subdole regie malavitose – all’autentico sentimento credente si sostituiscono l’interesse economico e l’ansia consumistica, e dove
non si tributa più onore al Signore ma ai capi della mafia”.
È una presa di posizione netta quella dei vescovi siciliani, che dedicano una parte del documento alla pietà popolare che contraddistingue la religiosità siciliana, con processioni e celebrazioni spesso devozionistiche, con “strumentalizzazioni” da parte “di molti clan mafiosi locali” e “connivenze omertose di alcuni preti ancorati a una concezione meramente esteriore del vissuto credente”. I vescovi siciliani evidenziano
“una sorta di schizofrenia” di “chi si affilia alle organizzazioni mafiose, pur continuando a farsi quotidianamente il segno della croce e a frequentare la messa domenicale, oltre che le processioni patronali e le riunioni confraternali,
senza però avvertire in tutto ciò alcuna contraddizione”. “Non possiamo rassegnarci a veder degenerare le varie forme di pietà popolare in espressioni di mero folklore – affermano -, manovrabile in varie direzioni, anche da parte delle famiglie mafiose di quartiere, in quest’ultimo caso soprattutto per fini di visibilità e di legittimazione sociale”. “Dobbiamo tornare a preoccuparci e a occuparci della pietà popolare – scrivono -, interpretandola non solo come fatto sociale ormai anacronistico, bensì come fatto interno alla vita della comunità credente”.
Nelle comunità cristiane serve “catechesi interattiva”. La Conferenza episcopale siciliana sa bene che “la mafia è un problema che tocca la Chiesa, la sua consistenza storica e la sua presenza sociale in determinati territori e ambienti, il vissuto dei suoi membri, di quelli che resistono all’invadenza mafiosa e di quelli che invece se ne lasciano dominare”. Perciò invitano a proporre “una catechesi interattiva, il più possibile ‘pratica’ e ‘contestuale’” e a sfruttare “ogni buona occasione: nel catechismo agli adolescenti, in cui anche i figli dei mafiosi devono essere coinvolti”, nei “momenti formativi dedicati ai giovani e agli adulti”; nella celebrazione comunitaria del “battesimo, la prima comunione e la cresima; nelle omelie durante i funerali delle vittime di mafia, ma anche – dove e quando sia fattibile – durante le esequie di persone defunte che sono appartenute alla mafia”. Parole di solidarietà e dolore vengono rivolte nel documento ai familiari delle vittime di mafia; un invito alla conversione “effettiva e concreta” a tutte “le persone credenti e di buona volontà”. Infine, “agli uomini e alle donne di mafia”, i vescovi ripetono il monito di san Giovanni Paolo II: “Convertitevi”. E quello di Papa Francesco il 21 febbraio 2015: “Aprite il vostro cuore al Signore. Il Signore vi aspetta e la Chiesa vi accoglie”.
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