“Un parlamento che sappia arginare con forza la corruzione e la mafia dilagante, favorire la ricostruzione, la riconciliazione e rendere il Paese sovrano e libero dalle pressioni di potenze internazionali e regionali”.
È questo l’auspicio che il patriarca caldeo di Baghdad, Louis Raphael Sako, esprime al Sir, a pochi giorni dalle elezioni politiche nazionali del 12 maggio. “Un momento importante per tutto il popolo per cui – dice il patriarca – è necessario favorirne la partecipazione sia in patria che all’estero”. Sono quasi 25 milioni gli elettori iracheni chiamati alle urne per scegliere tra i circa 7 mila candidati, 2 mila sono donne, i 329 parlamentari. Ventisette le coalizioni in lizza nelle quali sono confluiti 143 partiti. Una frammentazione politica che non ha risparmiato nessuno, né gli sciiti, che sono il 60% della popolazione, né i sunniti (20%) e né i curdi con il loro 15%. Cinque i seggi riservati – secondo le quote riservate alle minoranze – ai cristiani, distribuiti singolarmente nelle province di Baghdad, Kirkuk, Erbil, Dohuk e Ninive. La speranza del patriarca caldeo, da tutti condivisa, è che il voto “non sia minacciato da attacchi terroristici che pure si verificano quotidianamente. La lotta è cieca e non vede il rispetto dell’altro”.
Difficile pronosticare la vittoria di una singola lista, molto probabile invece è la formazione di un Governo di coalizione. “Coalizzarsi è l’unico modo che hanno i principali partiti per ottenere la maggioranza ed eleggere il premier (carica riservata a uno sciita, ndr.)” spiega Mar Sako che paventa anche la possibilità di
“una personalità laica, capace di creare una coalizione con i curdi e i sunniti e altri partiti laici. Ciò che conta è che chi andrà al governo abbia a cuore il bene di tutta la popolazione e non persegua interessi di parte. Non si può fare politica facendo leva sulla religione o sul partito – ribadisce il patriarca – bisogna guardare allo sviluppo e al progresso integrale del Paese”.
I cristiani al voto. In questo panorama politico frammentato la minoranza cristiana non fa eccezione: “anche
i cristiani sono divisi.
Ci sono sei liste, più una settima creata intorno a una sola persona con 61 candidati totali che si contenderanno i 5 seggi disponibili. Altri 15 candidati si presentano con liste diverse. Cinque, per esempio, militano nella lista dell’attuale primo ministro”. Non mancano, però, elementi positivi in questa tornata elettorale: “il 96% dei candidati – ricorda il patriarca caldeo – sono figure nuove, tantissime sono le donne. Questo non impedirà ai politici più potenti di essere eletti, ma si tratta di un dato di partecipazione che merita di essere segnalato.
La popolazione ha sofferto molto in questi anni e vuole cambiare.
Il nuovo Parlamento, che sarà chiamato a eleggere il capo del Governo e il Presidente della Repubblica, dovrà tener presente le richieste del popolo che sono
“lotta alla corruzione e alla mafia, ricostruire le infrastrutture del Paese, rilanciare l’economia e il lavoro, garantire la stabilità, la sicurezza degli abitanti e i rispetto dei diritti umani. Con queste intenzioni ogni domenica preghiamo per il nostro Paese”.
Una lunga strada. Il percorso appare ancora lungo e tortuoso. L’Iraq sta cercando di uscire dalla guerra contro lo Stato islamico, la cui sconfitta era stata annunciata lo scorso dicembre dal primo ministro iracheno, Haider al-Abadi.
“Alcune zone sono state liberate e pacificate, ma la mentalità dell’Isis resiste,
è dura da sconfiggere e per questo motivo – afferma il patriarca – è necessario un lavoro continuo di dialogo, di conoscenza, di formazione così da affermare i giusti valori di convivenza e pacificazione”. Oggi, ammette il patriarca, “non abbiamo ancora uno Stato laico, democratico e forte da controllare le Forze armate, la Polizia – anch’esse divise – e tutte le milizie che si muovono all’interno dei nostri confini. Questo rappresenta un problema che deve essere affrontato e risolto”.
Un punto debole. La politica estera è un altro ‘punto debole’ dell’Iraq, aggiunge Sako. “L’influenza che alcuni Paesi della regione e potenze internazionali hanno sull’Iraq è pesante e preme sulla vita politica irachena. Il nostro è un Paese ricco di petrolio e di risorse naturali, con una posizione strategica e per questo appetito da molti.
Se l’Iraq fosse libero da influenze straniere potrebbe diventare un fattore di equilibrio, di stabilità e di pace per tutta la regione mediorientale.
Oggi invece le sorti del nostro Paese sono legate a quelle della Siria, dello Yemen e di altre nazioni in conflitto. Il rischio è quello di una tracollo generale. La comunità internazionale non fa nulla per evitarlo e porre fine alle crisi in atto. Tutte queste tragedie influiscono con forza sulle politiche interne. Il nuovo Parlamento sarà chiamato ad affrontare anche questo problema”.
La speranza. “Ciò che vorrei per l’Iraq del dopo voto? Vorrei un leader laico, onesto, aperto, tollerante che si adoperi per
favorire il diritto di cittadinanza base certa su cui fondare la ricostruzione morale e materiale del Paese,
la pacificazione della popolazione, instaurazione di buoni rapporti con le nazioni vicine, con gli organismi internazionali, senza creare divisioni e nemici. Se farà tutto questo avrà i cristiani sempre al suo fianco. Non abbiamo ambizioni politiche ma ricerchiamo solo il bene del nostro Iraq, della sua gente a partire dai più bisognosi. Questa è la nostra cultura, questo ci insegna il Vangelo”.