Di Daniele Rocchi

“Se i morti potevano essere evitati? Certo. Bastava non premere il grilletto. Papa Francesco lo ha detto ancora all’udienza di mercoledì: ‘Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza’. Così è stato e lo abbiamo visto con i nostri occhi. Adesso non sappiamo cosa ci riserverà il futuro. La paura è grande”.

Padre Mario Da Silva

Dal compound della parrocchia latina della “Sacra Famiglia” di Gaza, nel quartiere orientale di Al Zeitoun, a parlare al Sir è il parroco, padre Mario Da Silva, religioso dell’Istituto del Verbo incarnato (Ive). Il suo racconto è pacato quasi a contrastare, col tono di voce, la rabbia che si respira nella Striscia dove è arrivato nel 2012, “e da allora ho vissuto già due guerre, nel 2012 e nel 2014, ma mai mi sono trovato in una situazione drammatica come quella attuale”. Da 11 anni, da quando il movimento islamista Hamas ha preso il potere nella Striscia, i gazawi sono stretti dal blocco imposto da Israele che costringe la metà di loro, circa un milione di persone, a vivere in povertà – come denunciato nei giorni scorsi da diverse organizzazioni umanitarie – senza cibo sufficiente, con un tasso di disoccupazione arrivato oltre il 40% e circa 24 mila persone ancora senza casa dalla guerra del 2014 che ha lasciato gravi danni alle infrastrutture. Mancano acqua potabile e energia elettrica, mentre gli ospedali sono al collasso invasi dalle migliaia di feriti negli scontri al confine con Israele. Chi può tira avanti solo con gli aiuti umanitari. A pesare sulla vita della Striscia anche lo scontro interno, tutto palestinese, tra il governo di Hamas e l’Autorità nazionale palestinese (Anp) del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) che da mesi ormai ha sospeso i pagamenti degli stipendi ai suoi dipendenti pubblici di Gaza – “tra loro ci sono anche molti cristiani che ora sono ancora più sofferenti” rivela il religioso – e le bollette per la fornitura di carburante e energia elettrica a Israele che ne controlla l’erogazione.

“Viene quasi da chiedersi – riferisce al Sir una fonte cristiana di Gerusalemme che vuole restare anonima – se quei manifestanti che hanno tentato di oltrepassare il confine tra Gaza e Israele non l’abbiano fatto per sfuggire a una simile condizione di vita piuttosto che spinti da Hamas”.

Nessuna resa alla violenza. “La violenza e l’odio sono generati anche da questa condizione di ingiustizia – sottolinea padre da Silva – È urgente risolvere al più presto la povertà che mette in ginocchio la popolazione giunta oramai allo stremo per disinnescarne la rabbia. Abbiamo bisogno di acqua, di medicine, di lavoro, dei beni essenziali per una vita dignitosa ma abbiamo bisogno anche della preghiera di tutti. Davanti a tanta violenza e a tanta distruzione siamo sempre più consapevoli che solo Dio può cambiare la situazione, non certo la politica e i governanti di ogni parte”. Affidarsi alla preghiera “non è un segno di resa”, per il parroco. Anzi, “vuole dire rilanciare l’urgenza del dialogo e della pace”. “Per questo chiediamo ai cristiani di tutto il mondo di pregare per noi, per la pace in questa Terra martoriata ma anche per la situazione drammatica in cui la popolazione gazawa è costretta a vivere.  Basta sparare, la guerra si faccia alla povertà. La nostra piccola comunità cristiana, come del resto la popolazione della Striscia, sta vivendo nella paura questo tempo.

Nessuno vuole un’altra guerra che segnerebbe la fine per tutti”.

foto SIR/Marco Calvarese

“Grati al Papa”. “La veglia di preghiera per la pace indetta dal Patriarcato Latino di Gerusalemme per sabato 19, vigilia di Pentecoste, – dice padre Mario – è un motivo di incoraggiamento e di grande sostegno spirituale. Sentire che la Chiesa ha a cuore le sorti di questa Terra Santa, perché anche Gaza lo è, ci fa sentire meno soli”. “Anche il Papa prega per noi. Me lo ha ribadito il card. Vincent Nichols, presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles che ieri mi ha telefonato per esprimermi la solidarietà di tutta la chiesa inglese. Mi ha detto che ha parlato personalmente con Papa Francesco che lo ha pregato di portarmi la sua vicinanza e per questo ringrazio il Pontefice anche a nome della comunità cristiana gazawa. La presenza e l’affetto del Papa ci regala tanta consolazione e speranza. Non dimenticate Gaza, pregate per questa terra!”. E prima di riagganciare il telefono, un ultimo grido:

“Basta guerra, basta morti, vogliamo solo pace”.

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