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Referendum sull’aborto in Irlanda. Mons. Brendan Leahy: “La compassione va unita alla verità”

M. Chiara Biagioni

Non è detta l’ultima parola. Anche se i sondaggi danno per certo la vittoria del “sì”, c’è un terzo dell’elettorato che potrebbe cambiare idea. Insomma, il popolo della vita può sperare ancora. L’Irlanda si prepara ad affrontare una delle più importanti settimane della sua storia, quella che precede il Referendum del 25 maggio che chiede ai 3,2 milioni di irlandesi se abrogare l’ottavo emendamento della Costituzione, dando così via libera alla possibilità di interrompere la gravidanza in quasi ogni circostanza. Nell’ultimo mese i vescovi di tutte le diocesi irlandesi hanno inviato ai fedeli lettere pastorali e dichiarazioni a difesa della vita. Una mobilitazione capillare e senza precedenti. Perché? “Come Conferenza episcopale – spiega al Sir mons. Brendan Leahy, vescovo di Limerick – avevamo fatto uscire una Dichiarazione a marzo mettendo in rilievo i diversi motivi per i quali noi, come vescovi, ritenevamo inopportuno sostenere il Referendum, la proposta, cioè, di tagliare il diritto alla vita del nascituro. Era poi previsto che ogni vescovo dicesse una parola più mediata per la sua diocesi di appartenenza. Tutto è stato fatto per rispondere ad una preoccupazione”.

Quale?
Quella di difendere la vita. Nel dibattito sono emerse tante cose, anche tante situazioni delicate che noi capiamo benissimo. Ma dobbiamo anche essere chiari e non confondere le cose: con il Referendum si vuole tagliare via un diritto alla vita di un nascituro e per noi è un passo cruciale per la nostra società.

La sensazione che si ha qui in Italia è che l’Irlanda abbia già deciso. Ci può dire se è davvero così maggioritaria la percentuale dei sondaggi che danno la vittoria al “sì”?
Veramente è difficile da dire. Tutti i sondaggi dicono che c’è una maggioranza grande a favore e i mass media lo mettono molto in rilievo. Sebbene, alcuni giorni fa, hanno detto che un terzo di chi fino ad oggi si è espresso per il “sì” ha affermato che potrebbe cambiare idea. Tra l’altro, rispetto a un mese fa, la maggioranza per il “sì” si è molto ridotta. E si sa che nei mesi finali che avvicinano a un Referendum, chi è contro guadagna sempre alcuni punti.

C’è quindi ancora un po’ di speranza.

L’Irlanda è nell’immaginario il Paese cattolico per eccellenza. Che Irlanda sta emergendo in questa fase pre-referendaria?
Certamente emerge un popolo in grande evoluzione. L’Irlanda è un’isola ma da diversi anni stiamo conoscendo una grande immigrazione e l’influsso di scuole di pensiero che derivano dall’Illuminismo e che sono arrivate da noi più tardi rispetto al resto dell’Europa. Sono correnti di pensiero che mettono in rilievo l’individualismo, la soggettività, il diritto individuale. Però bisogna anche dire che gli irlandesi sono un popolo compassionevole. Se da una parte sanno che è in gioco la vita di un bambino, dall’altra sentono con il cuore le situazioni difficili delle ragazze madri, delle madri che sono costrette ad andare all’estero per abortire e sentono di doverle aiutare sostenendo il Referendum.

Ma la compassione va unita alla verità. Ci sono due vite da difendere e sostenere: la vita della madre e la vita del nascituro.

Lei diceva che un terzo di persone possono cambiare idea in questi ultimissimi giorni. Se si potesse rivolgere loro, che cosa direbbe?
Tanta gente in Irlanda crede, in fondo, di volere un po’ di aborto, di consentire cioè l’interruzione di gravidanza nei casi limite, cioè in caso di una malattia grave del feto o nei casi di stupro della donna.

Il problema è che il governo propone un regime molto liberale.

Consente, cioè, l’aborto fino a 12 settimane senza alcun motivo. E dopo le 12 settimane si prevedono casi in cui è possibile accedere all’aborto e la proposta è molto liberale. Tante persone non si ritrovano in questa impostazione. Sentono che è davvero troppo e per questo credo che negli ultimi giorni possono – alla prova del voto – anche cambiare idea.

Certo l’Irlanda sta dando segnali molto chiari di una società in rapido cambiamento, prima con l’approvazione dei matrimoni gay e ora con la liberalizzazione dell’aborto. Che Paese troverà Papa Francesco?
Troverà semplicemente l’Irlanda. È un’Irlanda dove i cattolici sono una grande maggioranza: nell’ultimo e recente censimento, il 78% della popolazione si è dichiarata cattolica. Ma cosa vuol dire definirsi ed essere cattolici oggi in Irlanda? Vuol dire tante cose. Il tema della giustizia sociale, per esempio, è molto sentito. E per certi versi, questa sensibilità è frutto dell’influsso cattolico.

È vero però che l’appartenenza alla Chiesa nel senso classico è molto cambiata.

Quindi, come accoglieranno Francesco gli irlandesi?
Questo è chiaro. Lo accoglieranno con entusiasmo. Hanno una grande stima per Papa Francesco, per la sua spontaneità, per la sua autenticità e il suo modo di rapportarsi con tutti. Gli irlandesi hanno un grande amore per il Papa in sé e un grande amore per questo Papa.

Non crede che questo dibattito sull’aborto in cui la Chiesa cattolica si è schiarata in maniera molto forte, abbia creato un muro tra il popolo e la Chiesa?
No. Veramente noi vescovi abbiamo cercato di essere molto equilibrati nel dire le cose. Sì, ci siamo espressi con chiarezza ma abbiamo anche sempre chiarito che non si tratta di un dibattito specificamente ecclesiale. È in gioco un diritto umano, quello del bambino. Quindi come Chiesa, non abbiamo mai proposto una riflessione su questo Referendum in chiave: “Seguite la Chiesa”. E abbiamo gioito nel vedere prendere sempre più la parola un laicato molto articolato, capace di entrare in dialogo e di sostenere i dibattiti pubblici e questo – mi pare – è un passo avanti per la Chiesa. Non sono, cioè, tanto i vescovi a dover dire tutto, ma c’è un laicato preparato che è stato molto attento a non cadere nella trappola di chi voleva ridurre il dibattito a favore della vita a un ambito esclusivamente cattolico.