DIOCESI – Lectio delle Monache Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto.
«Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?». E’ la domanda, attraverso la quale, Gesù invia due dei suoi discepoli a Gerusalemme per preparare il luogo dove celebrare la pasqua con la sua comunità.
Che cosa ricordava il popolo ebraico in questa festa? La liberazione dalla schiavitù in Egitto e, come conseguenza, la realizzazione della “prima alleanza” tra Dio e il suo popolo. Dio, attraverso Mosè, suo inviato, detta le parole che Israele sarà tenuto ad osservare ed ascoltare. Parole scritte, come leggiamo nella prima lettura tratta dal Libro del Deuteronomio, sul libro dell’Alleanza, sancite dall’erezione di un altare e dal sacrificio di giovenchi, conclusa e sigillata con l’aspersione del sangue degli stessi animali sull’altare e sul popolo.
Gesù entra nella stanza dove si celebra questo memoriale e la trasforma.
Dio “ha bisogno” di qualcosa in più, Dio cerca una relazione più profonda, più matura con l’uomo. C’è un amore talmente grande e traboccante che nutre per l’uomo che non può essere solo testimoniato da un patto di sangue…altrui!
Un amore e un desiderio di relazionarsi con l’uomo che non trova più parole sufficienti a descriverlo.
C’è un amore talmente grande che non può essere “detto” da qualcun altro e che non può essere contenuto da alcuna stanza, pur superbamente arredata e preparata.
C’è una «alleanza nuova», come la definisce l’autore della Lettera agli Ebrei, per la quale Dio si mette in gioco con il suo Corpo e il suo Sangue; un’alleanza per la quale spende la sua vita non risparmiando nulla di Lui, neanche la sua divinità.
L’unica stanza capace di contenere questa nuova relazione è la stanza della nostra vita, della nostra storia, della nostra umanità, con tutti i suoi limiti, le sue fragilità, le sue debolezze…è in questa stanza che Dio vuole celebrare la “nuova Pasqua”, vuole vivere e costruire, cioè, la relazione con ciascuno di noi, vuole vivere della relazione con ciascuno di noi.
Solo così la festa di oggi, Corpus Domini, può dire qualcosa alla nostra vita, perché quel Corpo e quel Sangue di cui ci cibiamo ad ogni Eucarestia, non sia solo gesto ripetitivo, devozionistico, rituale, formale ma sia, ogni volta, un aprire la porta a Qualcuno che ci ama di un amore senza misura, aprire la porta della stanza che è il nostro cuore, la nostra vita. Lasciar entrare nel più intimo di noi stessi Cristo, non un’idea, non una sensazione, non una autosuggestione ma Cristo nella sua Carne e nel suo Sangue, quel Dio, cioè, che vuole abitare la nostra storia e la nostra intimità…quel Dio con cui vivere la storia di amore senza misura!
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