Sopravvivere alla morte di una figlia, di una collega, di decine di parrocchiani vittime di una sparatoria di massa, come quelle che flagellano costantemente gli Usa richiede tempo, domande ineludibili, dibattiti infiniti, per qualcuno fede, per altri impegno sociale. Continuare a vivere dopo aver visto 20 bambini della Sandy Hook Elementary di Newton e altri 6 adulti falcidiati da un fucile automatico imbracciato da un giovane ventenne, poi suicida, pone di fronte alla dolorosa consapevolezza che l’orrore, il male, la sofferenza sono aspetti ineludibili della quotidianità. Incontrare Dawn Ford, insegnante sopravvissuta al massacro di quel 14 dicembre 2012, Jenny Hubbard, madre di Catherine Violet, assassinata in classe, e padre Peter Cameron, allora vice-parroco nella cittadina del Connecticut e oggi caporedattore della rivista Magnificat, ha significato guardare negli occhi e nella vita di chi ha fatto di quel dolore una strada di cambiamento e di redenzione. Siamo a New York, nel cuore di Wall Street e nel centro CrossRoads di Comunione e Liberazione: Dawn, Jenny, padre Robert si raccontano senza veli, senza celare le lacrime che scorrono copiose ricordando quel giorno e le settimane che seguirono, quando la consapevolezza della morte era schiacciante ma il sostegno della comunità ha avuto i confini dell’intera nazione.
“Io ero assistente del parroco nella chiesa di santa Rosa da Lima a Newton”, esordisce padre Peter. E quella mattina un amico mi chiamò per dirmi del massacro. Ho guidato fino alla chiesa e ho improvvisato una messa che ha visto partecipare più di duemila persone. In me è nata la certezza che quel singolo atto di violenza avrebbe suscitato migliaia di atti di gentilezza e generosità e così è stato e io ne sono testimone”.
Un mese dopo il massacro la parrocchia aveva organizzato una serie di incontri per aiutare i bambini, i genitori e tutti gli operatori a tornare a scuola e la chiesa era sempre stipata.
E’ ad uno di questi incontri che padre Peter sente parlare Jenny Hubbard, la madre di Katherine Violet, “una donna che ha saputo dare un senso a questo orrore”. Jenny si schernisce, ma quando comincia a ricordare quella mattina, è difficile contenere l’emozione. “Quel giorno Katherine non voleva andare a scuola, voleva aiutarmi a preparare il ginger bread, quel pane tipico di Natale con cui volevamo accogliere il padre dopo un viaggio di lavoro. Piangeva e voleva restare a casa a tutti i costi. Dopo poche ore ho ricevuto la chiamata dei pompieri: mio figlio, anche lui nella stessa scuola, non riusciva a trovare la sorella e si sentiva responsabile perchè il papà, prima di partire, gliela aveva affidata”. Jenny racconta delle lunghe ore trascorse in preghiera nella sala dei pompieri, attendendo e solo alle 4.13 ha saputo che Catherine era tra le vittime. E così una madre si trova a compiere gesti che mai avrebbe pensato: scegliere una bara, riconoscere la figlia all’obitorio, prepararne il funerale. “Non ti dico che la mia fede era forte, che sapevo rispondere a tutte le domande. Il Cielo per cinque anni è stato chiuso per me e Dio era muto” racconta con trasparenza Jenny, che oggi invece incontra centinaia di famiglie per condividere come la fede sia stata la sua salvezza e la guarigione da un massacro. “Un giorno ero al tavolo della cucina,
ho aperto la Bibbia e ho cominciato a leggere quelle storie
anche con mio figlio. Dovevo capire come andare avanti da moglie, da madre e da cittadina, perchè tutti noi di Newton in quei mesi cercavamo una risposta”. La risposta per Jenny è stata quella di creare il Catherine Violet Hubbard Animal Sanctuary a Newtown, un luogo di cura per gli animali e per le persone che possono trarre beneficio da questa relazione: “Catherine diceva sempre che si sarebbe presa cura di tutti gli animali, li nutriva, se ne occupava, erano la sua passione e aveva creato persino un biglietto da visita con la dicitura: ‘Rifugio per animali, Catherine”.
Dawn a Sandy Hook insegnava scienze. Non ha mai voluto parlare di quanto è stata testimone in quelle ore, perché la ferita continua a sanguinare. Dopo la sparatoria nella scuola di Parkland in Florida ha capito di non poter tacere anche “perché amici e familiari mi hanno incoraggiata” ed è la prima volta che parla in pubblico. La mattina del massacro Dawn era nella sala professori per un incontro, ma quando stava per intervenire un rumore di spari le ha troncato le parole: “Mi sembrava fossero delle sedie cadute nella caffetteria”. Allarmate dalla ripetizione del suono, la preside, la psicologa e un’insegnante sono uscite all’ingresso per capire cosa stava accadendo. “Dopo pochi minuti, Natalie, l’insegnante capo è rientrata nella sala, zoppicante e con le mani insanguinate e ha chiuso a chiave la porta, mentre tutti noi ci siamo distribuiti agli angoli della stanza e Natalie scivolava lungo la parete”. La voce di Dawn trema mentre racconta la sequenza di spari seguita dal silenzio e poi ancora spari e silenzio. In uno di quei momenti ha raggiunto la parete dove c’era un telefono che avrebbe attivato gli altoparlanti decisa a chiedere aiuto, ma appena compone i numeri per la linea esterna è costretta ad interrompere perchè gli spari sono ripresi con più intensità. Quel gesto, e Dawn l’ha saputo dopo settimane, ha attivato una procedura di emergenza che ha consentito di intervenire e impedire che le vittime fossero ben più numerose. Quando capiscono che la polizia è all’esterno, Dawn apre la porta per chiedere aiuto tenendo tra le braccia una Natalie sanguinante. Gli operatori mettono in salvo la donna ferita e chiedono a tutti professori di uscire dalla scuola.
“Ho attraversato l’ingresso e ho visto a terra la preside e la psicologa. Mi chiedevo perchè nessuno le aiutasse e ho impiegato ore per capire che erano morte”,
continua con voce rotta dal pianto. Poi il pensiero è corso al figlio autistico che lavorava in biblioteca. Fortunatamente una delle impiegate lo aveva chiuso nel bagno con tanti peluche perché si sentisse protetto. E poi la sua classe. Stava correndo a vederla quando l’ha vista uscire integra e messa in salvo da un’operatrice: “Vorrei incoraggiare i politici ad agire perché tragedie così non si ripetano più”.
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