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Giovanni XXIII: mons. Claudio Dolcini (parroco Sotto il Monte), “tutto è cominciato da una finestra”

M.Michela Nicolais

“Un altro grande miracolo di Papa Giovanni”. Mons. Claudio Dolcini, parroco di Sotto il Monte, non ha dubbi. Definisce così “il clima magico” che si è creato in questi giorni, grazie alla “peregrinatio” dell’urna con le spoglie mortali di Giovanni XXIII – “Papa Giovanni” per la sua gente – concessa da Papa Francesco dal Vaticano alla terra d’origine del santo, con la prima tappa a Bergamo. Quando lo intervistiamo, mons. Dolcini ha negli occhi e nel cuore la gioiosa sorpresa di chi ha il privilegio di vedere sfilare davanti a sé, con discrezione e compostezza, una folla sterminata di fedeli accorsi a venerare le spoglie del “Papa buono”: “Sembra di essere in paradiso”, esclama a proposito dello spettacolo di “pace, bellezza, gioia profonda” che i visitatori giunti per venerare il corpo del Santo offrono al suo sguardo. L’afflusso ha superato ogni più rosea aspettativa, registrando già dopo la prima settimana le 100mila presenze. Ma c’è tempo fino al 10 giugno, data del rientro in Vaticano, per polverizzare anche questo record.

La vocazione in una finestra. Tutto, per Angelo Maria Roncalli, è cominciato qui, da una finestra: quella della sua casa natale, poco distante dalla chiesa. Ogni giorno il piccolo Angelo – racconta Dolcini – “guardava il suo parroco che si apprestava a celebrare la messa o usciva per dare la Comunione a qualche ammalato. È qui che, forse, ha avvertito la chiamata del Signore, l’eco del primo fascino di quella che poi sarebbe stata la sua vocazione”. Un presagio che trova le ragioni della sua concretezza nelle radici contadine di una famiglia povera e numerosa, cresciuta con il latte – materno e paterno – della fede. E la finestra richiama a un’altra finestra: quella del terzo piano del palazzo apostolico da cui, una volta diventato Papa, si rivolgeva ai fedeli, primo Pontefice nella storia della Chiesa ad inaugurare la consuetudine degli Angelus. Entrando nella casa di legno e pietra si respira l’atmosfera dove il futuro Giovanni XXIII ha vissuto i suoi primi 10 anni di vita, con i piedi sulla terra ma gli occhi ben rivolti al cielo, come evoca il tema della peregrinatio, tratto da una delle sue frasi: “Si incomincia dalla terra dove sono nato e poi si prosegue fino al cielo”. Poche decine di metri separano la casa dalla chiesa di Santa Maria in Brusicco, dove Angelo è stato battezzato il 25 novembre 1881 e dove oggi è conservata la lapide che rivestiva la tomba del Papa nelle grotte vaticane, insieme all’altare su cui Angelo Giuseppe Roncalli ha celebrato la prima messa a Sotto il Monte.

Parrocchia-santuario. Il percorso nei luoghi di Roncalli culmina nella chiesa di san Giovanni Battista, oggi parrocchia e santuario di san Giovanni XXIII, dove è stato collocato il corpo del Papa, in una teca trasparente circondata da garofani rossi. Cosa significa, oggi, essere il parroco di Sotto il Monte? Mons. Dolcini risponde consapevole del patrimonio prezioso che è questa eredità:

”Qui la vita quotidiana di una parrocchia si intreccia con quella di un santuario che accoglie migliaia di visitatori all’anno”.

“La proposta pastorale è l’evangelizzazione, all’insegna di una devozione semplice ma solida, che era quella di Giovanni XXIII: la preghiera, la Paola di Dio, il catechismo, la celebrazione dell’Eucaristia, le confessioni. Cerchiamo di curare molto le celebrazioni, con la Parola al centro, e diamo molto spazio all’ascolto, alla gente che chiede di essere accolta, che ha bisogno di raccontarsi. Molti vengono qui anche se non credono: Papa Giovanni, del resto, è stato un’icona di pace e di dialogo, capace di catalizzare l’attenzione in quanto ‘pontefice’, cioè costruttore di ponti che rinvia a Cristo”.

Il Crocifisso e il mappamondo. Non a caso, l’emblema della fede che Angelo Roncalli ha sempre prediletto è il Crocifisso. Come quello conservato a Ca’ Maitino, la residenza dove tutte le estati soggiornava quando era vescovo. All’interno, nella sua stanza da letto che conserva il materasso e il cuscino dov’è morto, il 3 giugno 1963 in Vaticano, ha voluto che fosse collocato nella parete esattamente di fronte, sotto l’inginocchiatoio, in modo da poterlo guardare e interpellare con la preghiera anche nelle notti in cui le difficoltà, le preoccupazioni o le sofferenze rendono più difficile prendere sonno. Attigua alla stanza da letto la cappella privata fatta traslare direttamente dal palazzo apostolico, dopo la sua morte, dal suo segretario, mons. Loris Capovilla. Sull’inginocchiatoio bordato di velluto rosso damascato il Papa si è raccolto in preghiera, per ben quattro ore, anche quando nel 1962 a causa della crisi di Cuba la guerra – poi scongiurata – sembrava imminente. In questa casa museo, piena di ricordi, ritratti e fotografie d’epoca, ma anche dei tanti “ex voto” giunti da ogni parte del mondo, campeggia il mappamondo che i Padri tedeschi del Verbo Divino hanno appositamente realizzato per lui, che non poteva uscire dal Vaticano ma voleva osservare la terra e benedire i missionari sparsi nel mondo geolocalizzandoli, si direbbe oggi, in maniera precisa. Accanto ai nomi delle nazioni e dei Continenti, poco sopra Venezia, san Giovanni XXIII ha voluto far inserire anche il nome di Sotto il Monte.

Perché era così legato al paese dove era nato, ma dal quale era stato assente quasi tutta la vita? “Aveva un ruolo alto, prestigioso nella Chiesa”, risponde mons. Dolcini: “Sotto il Monte, dove ritornava una volta all’anno, lo ha aiutato a mantenersi umile. Il ritorno qui, alle radici contadine, alla vita semplice fatta di valori autentici e di attaccamento al lavoro, ha mantenuto in lui la mitezza del Vangelo: quella di un Papa sacerdote e parroco di campagna, con lo sguardo sul mondo ma sempre attento all’uomo della strada”.

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