Di Daniele Rocchi
Tornare ad essere “sale, lievito e luce”.
Nella premessa del piano pastorale il messaggio del patriarca Sako, prossimo cardinale, arriva subito chiaro: “La Chiesa deve svolgere un ruolo proattivo nell’affrontare i gravi cambiamenti che sono accaduti e stanno accadendo in molti settori della società irachena, le sfide emergenti e le violazioni contro i cristiani. È dovere della Chiesa rafforzare la sua presenza”.
Si tratta, scrive il patriarca, “di sviluppare una visione chiara, un progetto completo di coesistenza pacifica per garantire i diritti e l’uguaglianza dei cristiani; salvaguardare la loro vita, la loro eredità, terra, lingua, fede e tradizioni. Questo è l’unico modo per dare nuovo impulso ai cristiani perché restino su questa terra a continuare la loro missione”. La Chiesa, si legge ancora nella lettera, “è chiamata a compiere ulteriori e sistematici sforzi per richiedere leggi che riconoscano i cristiani alla stregua di ogni altra componente del Paese, piuttosto che considerarli come cittadini di seconda classe. Soprattutto che riconoscano i cristiani quali abitanti originari dell’Iraq. Le loro chiese e monasteri, infatti, sono presenti in tutto il Paese prima e dopo l’arrivo dei musulmani dalla penisola arabica nel 637”. Il piano pastorale prevede “attività nel campo della fede, nella società, nella cultura e nel servizio, basate su standard moderni per rispondere alle esigenze attuali e future”. Così facendo, scrive Mar Sako, “saremo in grado di riemergere dallo stato di dispersione, negligenza, lentezza e migrazione, e capaci di ripristinare il nostro ruolo di sale, lievito e luce, come Cristo ci ha chiamato ad essere”. Dal patriarca anche la speranza che con questo piano
“i giovani ricevano l’attenzione che meritano, poiché hanno talenti creativi da investire. La Chiesa deve incoraggiare i giovani a impegnarsi nel campo sociale e politico per costruire pace, giustizia e partecipazione attiva al servizio delle persone nelle nostre società”.
“La fede è il motore del nostro servizio”.
“La comunità della Chiesa è il canale della misericordia e il luogo dove praticare e vivere la nostra fede che opera attraverso l’amore”.
Questo implica che ogni cristiano debba conoscere la dottrina sociale della Chiesa, e le esortazioni di Papa Francesco che invitano “ad aprire la porta dei nostri cuori e delle nostre chiese ai poveri, siano essi sfollati, orfani, vedove, persone sole e anziane per aiutarli, come ha fatto Gesù e come stanno facendo gli organismi umanitari internazionali e locali, tra cui la Caritas”.
Per i cristiani di Ninive. Mar Sako ricorda anche l’impegno della Chiesa a favore dei cristiani della Piana di Ninive perseguitati dallo Stato islamico:
“Se la Chiesa in Iraq non fosse stata vicina agli sfollati a Mosul e nelle città della Piana sin dal primo giorno della crisi, avremmo perso la nostra terra, il nostro patrimonio e la nostra identità. Tuttavia c’è ancora tanta strada da percorrere nel dare sostegno a queste famiglie che desiderano rimanere nella loro patria, nonostante le circostanze eccezionali che stanno vivendo”.
E tra i bisogni concreti elencati dal patriarca figurano “la ricostruzione di case e dei villaggi, migliorare le condizioni di vita degli abitanti per ridare loro la giusta dignità; organizzare corsi di formazione e di sostegno psicosociale, istituire centri culturali, sanitari, sociali, giovanili e femminili per rafforzare il ruolo delle donne”.
“È importante creare investimenti e opportunità di lavoro”.
Tutto ciò va fatto attraverso la creazione di una “interazione responsabile tra i dirigenti della Chiesa e i fedeli coinvolgendo anche la Lega caldea”. L’istituzione di un “comitato di accademici in grado di studiare i bisogni e fornire soluzioni adeguate, la creazione di un Comitato finanziario impegnato a reperire i fondi necessari dallo Stato, dalle chiese e dalle organizzazioni umanitarie e la nascita di un media center capace di dare voce ai cristiani in tutto il mondo”, sono le strutture individuate da Mar Sako per conseguire i risultati auspicati.
Il giusto atteggiamento. Un lavoro da portare avanti in un atteggiamento “di preghiera” – “ogni volta che pensiamo a questi progetti dovremmo pregare prima” – “di unità interiore” – “mettendo da parte le nostre differenze, per il bene comune. Insieme saremo più forti” – e, infine, “di cooperazione tra clero e fedeli” coinvolgendo laici, uomini e donne. Per queste ultime il patriarca auspica un ruolo sempre maggiore nella comunità dei fedeli.
Significativo è lo “spirito di ecumenismo e dialogo, in particolare con i musulmani con i quali abbiamo legami umanitari, sociali e nazionali. Dovere della Chiesa – conclude – è cercare un partenariato efficace con i musulmani in particolare per quanto riguarda la difesa dell’uguaglianza, della giustizia sociale e della convivenza pacifica, così da restare uniti contro l’odio e l’esclusione”.