“Se si riuscisse a trovare un punto di equilibrio che non è facile raggiungere, Trump e Kim Jong-un ne uscirebbero vincitori. La Corea del Nord potrebbe smettere di investire fortemente nel comparto militare, liberando risorse per stimolare l’economia e crescere. Gli Usa, invece, si intesterebbero la pacificazione della penisola coreana. Se il summit non fosse stato favorevole per entrambi, non si sarebbe fatto. Ma non è scontato che si arrivi a un esito positivo”. Nel giorno di un incontro che si preannuncia storico Raffaele Marchetti, esperto in relazioni internazionali e docente alla Luiss “Guido Carli”, tira le somme del G7 appena conclusosi e suggerisce le principali dinamiche che segnano il quadro politico mondiale.
Donald Trump ha prima chiesto di riammettere la Russia al G8, poi ha lasciato in anticipo i lavori per volare a Singapore, infine ha ritirato l’appoggio al comunicato congiunto. Che messaggio è per l’Europa?
È evidente che ci troviamo davanti a crisi come non ne abbiamo mai viste dal dopoguerra, forse ad eccezione della parentesi dell’uscita della Francia dalla Nato con De Gaulle. È una crisi profonda e preoccupante, perché arriva proprio nel momento in cui l’Occidente è in difficoltà nei confronti dei rivali strategici, su tutti la Cina. Ci si aspetterebbe che gli Stati Uniti d’America e l’Europa reagissero stringendo le fila, con un’unica voce. Invece i legami si allentano e ciascuno si muove per proprio conto. È paradossale, ma nella storia è spesso accaduto.
Sembra che Trump preferisca una contrattazione diretta con i Paesi dell’Ue, piuttosto che un rapporto con un’organizzazione rappresentativa degli interessi comuni.
L’amministrazione statunitense vuole negoziare su vari tavoli. È lo stile tipico di Trump: un tira e molla con sorprese e gesti eclatanti, che sono utili a raggiungere l’obiettivo prefissato.
Come si spiega la decisione di Trump di imporre dazi commerciali all’Europa sull’importazione di alluminio e acciaio? È stato questo uno dei temi più conflittuali del summit…
Gli Stati Uniti hanno una bilancia commerciale strutturalmente asimmetrica:
importano più di quanto esportino, praticamente nei confronti di tutti i Paesi del G7.
In particolare verso Germania e Cina. Un Paese in affanno economico, e soprattutto politico, si mette sulla difensiva. Impone i dazi per rafforzare l’industria nazionale. Laddove nel passato si accettava questa asimmetria, ora la situazione è più complessa e si vogliono ridiscutere le questioni. La scelta è di confrontarsi con ciascuno Paese per raddrizzare la bilancia negativa.
Il presidente del Consiglio italiano ha detto: “La Russia dovrebbe rientrare nel G8. È nell’interesse di tutti”. Che partita vuole giocare l’Italia e come stanno cambiando i rapporti tra i Paesi occidentali?
In Italia abbiamo il governo più trumpista d’Europa. Il M5S con meno intensità, ma la Lega fin dall’inizio. Questo governo è stato ben visto dall’amministrazione americana e noi siamo la sponda migliore che Trump possa avere in Europa. L’Italia ha avuto un danno economico considerevole dalle sanzioni alla Russia. A livello strategico converrebbe all’Europa riaprire un tavolo, perché ci sono questioni comuni da gestire insieme – dal Medio Oriente all’energia – e perché se chiudiamo la porta la Russia andrà verso la Cina, come già sta avvenendo. Tutto ciò non è nei nostri interessi.
I leader del G7 hanno chiesto alla Russia di smettere di “minare le democrazie”.
In Europa c’è ancora un blocco fortemente ostile alla Russia, l’Italia è un’eccezione. Siamo in una situazione di incertezza: il partner principale come gli Stati Uniti e uno minore come l’Italia aprono alla Russia, ma tutti gli altri chiudono.
A Bruxelles il blocco a favore delle sanzioni è molto compatto.
Anche il nucleare iraniano e le misure di contrasto al riscaldamento globale sono punti di contrasto tra Usa ed Europa all’interno del G7?
Le posizioni sono immutate, l’Europa è a favore dell’accordo con l’Iran e delle misure a sostegno dell’ambiente. Il dialogo con gli Usa è ridotto ai minimi termini.
C’è stata oggi la stretta di mano tra Donald Trump e Kim Jong-un a Singapore. Cosa ci si può aspettare?
È un appuntamento che è stato programmato perché entrambi possono avere un tornaconto.
La Corea del Nord può spuntare un’apertura fondamentale per la propria economia, mentre gli Usa potrebbero gestire la crisi coreana indirizzandola verso la denuclearizzazione.
Per Kim Jong-un è anche un motivo di prestigio, un punto d’arrivo al quale ha mirato da sempre: essere protagonista del summit mondiale per eccellenza.