Chiara Biagioni
“Una grande gioia”. È questo il clima che si respira a Ginevra nella sede del Consiglio mondiale delle Chiese. È qui, in questo quartiere immerso nel verde a due passi dall’aeroporto e dal Palexpo, che tra pochi giorni arriverà Papa Francesco per celebrare il 70° anniversario di fondazione del Wcc. Non è il primo Papa a farlo. Paolo VI venne qui nel 1969, mentre Giovanni Paolo II lo visitò nel 1984.
Il Wcc è un organismo nato sulle macerie della seconda guerra mondiale inseguendo il sogno che, in un mondo devastato dall’odio e dalla distruzione, le Chiese potessero essere segno di unità e riconciliazione. Quel sogno è ancora attuale: la strada percorsa in questi 70 anni di storia è lunga e ricca di doni. Oggi il Wcc conta 349 Chiese membro di tutte le denominazioni cristiane sparse in oltre 120 Paesi in tutto il mondo. Chiese ortodosse, anglicane, battiste, luterane, metodiste e riformate, Chiese unite e indipendenti. Si calcola che al Wcc siano rappresentati oltre 560 milioni di cristiani. Si respira un clima di famiglia tra gli uffici e corridoi che attraversano la sede del Wcc. Nonostante si passi continuamente dall’inglese al francese, al tedesco, tutti si sentono a casa. Ci sono dappertutto foto, croci, icone, opere d’arte provenienti da tutto il pianeta. Africa, Asia, Caraibi, America Latina, Medio Oriente e Pacifico. Segno non solo di una presenza globale ma anche di un impegno ormai storico sulle grandi sfide che attraversano l’umanità: dalle situazioni di conflitto alle emergenze umanitarie. Alla vigilia della visita di Papa Francesco, abbiamo incontrato il pastore Olav Fykse-Tveit, segretario generale del Wcc.
Cosa significa per voi la presenza del Papa qui a Ginevra?
È una grande gioia che Papa Francesco abbia accettato il nostro invito a partecipare qui al Consiglio ecumenico delle Chiese, a Ginevra, alle celebrazioni per il nostro 70° anniversario. Verrà nel giorno in cui saremo riuniti con le nostre Chiese membro per il nostro Comitato centrale. È importante che venga in un momento in cui celebriamo i risultati che abbiamo raggiunto finora nella storia del Wcc, lavorando insieme per l’unità e per portare i rapporti fra le Chiese al livello a cui sono oggi. Il Papa potrà vedere di persona quello che facciamo.
E la sua presenza tra noi è anche un segno che esiste un unico movimento ecumenico nel mondo,
e che la Chiesa cattolica vi partecipa come protagonista, mettendo in evidenza le esperienze di unità vissute insieme, e le nuove espressioni di quello che facciamo per lottare insieme per la giustizia e la pace, per il Vangelo nel mondo.
Il Papa verrà qui il 21 giugno che è anche il giorno in cui termina la primavera. Possiamo parlare di una nuova primavera ecumenica per il movimento ecumenico?
Penso che ci sono molti segni che possiamo definire primaverili, nel senso di nuove iniziative basate sulla cooperazione, nei rapporti comunitari e in quelli personali. In questo senso possiamo parlare di segni di una primavera ecumenica, pur con le sue luci e ombre, che coincide con questa visita. Ma è importante anche dire che il movimento ecumenico deve saper attraversare tutte le stagioni, perché qualche volta facciamo una cosa e vediamo i risultati, altre volte invece non li vediamo, almeno nell’immediato… ma anche in questi momenti,
è molto importante non arrendersi, continuare ad andare avanti.
Anche quando di fronte alle crisi che attraversano il mondo, ci piacerebbe che ci fossero più iniziative comuni in termini di cooperazione multilaterale per risolvere i problemi che abbiamo come umanità: la criminalità, le iniziative per la pace, per la giustizia economica, ecc. Ci sono forze che si sono polarizzate, e dividono il mondo… È vero. Possiamo fare di più insieme. Ma dobbiamo andare avanti, non dobbiamo arrenderci.
La scorsa settimana in Romania si è incontrato il Comitato congiunto di lavoro formato dalla Santa Sede e dal Wcc e si è parlato anche di migranti e rifugiati. Come lei sa, in questo momento abbiamo un grande problema in Italia su questa questione. C’è chi invoca la chiusura dei porti per i soccorsi in mare e chi invece l’accoglienza. La nostra società è polarizzata su questo tema. Qual è la voce delle Chiese su questo punto?
C’è una voce comune molto forte in Europa da parte di tutte le Chiese e anche da parte di Papa Francesco. E questa voce dice che quando le persone sono costrette a fuggire dalle loro case per situazioni di guerra o di persecuzione politica, allora è nostra responsabilità come cristiani offrire loro rifugio, dare loro un posto dove stare fino a quando potranno tornare a casa in modo sicuro… Questo è quello che dicono anche le Convenzioni internazionali che sono state firmate dopo la seconda guerra mondiale. È assolutamente necessario che tutti gli europei – inclusi gli ungheresi, per esempio – offrano rifugio a questi profughi quando ne hanno bisogno. Non possiamo dire: non sono profughi europei quindi non abbiamo responsabilità verso di loro…. Sono esseri umani…
Sono esseri umani indipendentemente da quale continente vengono.
Quindi è molto importante che la Chiesa esprima una voce chiara su questo, e anche la Chiesa cattolica… Stiamo lavorando insieme su questa problematica, anzi stiamo programmando una Conferenza da fare insieme in Vaticano a settembre.
Lei sa che con questa visita di Papa Francesco al Wcc la gente si aspetta qualche iniziativa concreta da parte vostra, sulla pace, sui migranti e rifugiati. Può anticiparci se c’è qualche iniziativa che avete intenzione di intraprendere a favore dei migranti?
In effetti stiamo già lavorando in questa direzione, ad esempio con questa Conferenza in programma a settembre a Roma sulla xenofobia e il populismo, quindi sul tema dei migranti. Ma anche con iniziative specifiche di pace… Abbiamo avviato un dialogo su alcune questioni specifiche, sia a livello locale che internazionale. Ad esempio, sui problemi in Sud Sudan, in Nigeria, in Corea, ecc. Quindi questo già lo stiamo facendo. In ogni caso questa visita costituisce un forte incentivo a lavorare ancora di più insieme su queste problematiche. In questo tipo di incontri non si tratta di “negoziare” qualcosa, non è questo l’obiettivo.
Innanzitutto noi vogliamo sentire cosa ha da dire il Papa su questi contesti, e come lui vede i rapporti fra la Chiesa cattolica e il Consiglio ecumenico delle Chiese,
e anche noi vogliamo esprimere la nostra visione su queste problematiche e su questa cooperazione, esprimendola con le nostre preghiere ma anche con i nostri discorsi.
Ma lei aspetta una parola specifica da parte del Papa? La Chiesa cattolica non fa parte del Consiglio ecumenico delle Chiese. Lei si aspetta che Papa Francesco proponga di farne parte?
No, di questo non si è parlato affatto nella preparazione dell’incontro. Si è parlato di come descrivere le nostre forme di cooperazione e discutere su cosa altro possiamo fare insieme e come andare avanti… La questione dell’appartenenza come membro della Chiesa cattolica al Consiglio ecumenico delle Chiese non è all’ordine del giorno dei lavori.