Una vita avventurosa sulle orme del Vangelo e in grande sintonia con Francesco d’Assisi, conosciuto personalmente. Infiniti viaggi in giro per l’Europa, dalla natìa Lisbona fino all’ultima tappa a Padova. E incontri, tanto studio, meditazioni, preghiere, predicazioni (nelle quali era un vero maestro), carità. Sant’Antonio (Lisbona, 1195 – Padova, 1231) è certamente una delle figure più venerate del cattolicesimo. In ogni angolo d’Italia e d’Europa, e in numerose località del mondo, sorgono chiese e santuario dedicati al frate francescano, a lui si elevano suppliche, si raccontano i suoi miracoli… È riconosciuto come protettore dei poveri, degli oppressi, delle donne incinte, dei prigionieri, dei viaggiatori e dei naufraghi, e così pure degli animali. La ricorrenza del 13 giugno è ulteriore occasione per rivolgere preghiere e richieste di aiuto al “giglio candido” (uno dei suoi innumerevoli simboli).
Ci può spiegare sinteticamente quali sono oggi i contorni e le peculiarità della devozione per sant’Antonio da Padova?
Credo che la devozione di tantissime persone che ancora trovano in Antonio un punto di riferimento si possa definire una specie di miracolo, perché è stata capace di evolversi nel tempo: si è passati da una devozione basata solo sui miracoli a una in cuile persone vedono in Antonio uno stile di vita, l’idea che è possibile per ciascuno di noi trovare la via per una santità quotidiana[il pensiero corre subito alla “Gaudete et exsultate” di Papa Francesco, ndr]. Un’altra cosa che mi colpisce, e che può sembrare paradossale, è che Antonio è stato un raffinato esegeta e un grande teologo ma il suo pubblico di riferimento, chiamiamolo così, è sempre stato e ancora oggi è formato soprattutto da gente semplice.
Qual è la “geografia” di questa devozione? Padova è certamente il centro nevralgico ma poi ci sono altri luoghi…
Sì, ci sono molti altri luoghi legati alla figura di Antonio: a partire da Lisbona, dove è nato, o Coimbra, sempre in Portogallo, dove si fece monaco agostiniano; ma c’è anche un santuario in Francia o quello di Camposampiero vicino a Padova. La cosa però impressionante, e lo dico per esperienza diretta, è che al di là di questi luoghi storici è difficile trovare in giro per il mondo una chiesa dove non ci sia una statua, un ex-voto o comunque un’immagine di Antonio o qualche tradizione a lui legata, ad esempio con riferimento alla carità e al famoso “pane di sant’Antonio”.
Sembrerebbe quasi troppo facile o retorico fare delle attualizzazioni. Però è così, è inutile negarlo. Antonio ci racconta un’Europa che sicuramente aveva dei confini diversi dai nostri, ma era un continente che poteva essere “camminata” da una parte all’altra e che si mescolava.Antonio parte dal Portogallo, arriva in Italia, poi passa un periodo in Francia… Era un’Europa in cui, per certi versi, dovunque ti trovassi ti sentivi a casa, ti sentivi cittadino.Sentivi che c’era uno spazio per te. Antonio ad esempio ha portato in Italia un’importante cultura teologica e ha arricchito il francescanesimo. È in questo mescolamento delle carte che per certi versi tutti ne guadagnano e tutti possono fare dei passi avanti. Mi sembra questa l’idea bella di cittadinanza europea che Antonio ci dona. Poi c’è un episodio molto significativo.
Quale?
Il naufragio di Antonio sulle coste della Sicilia di ritorno dal Marocco. È un fatto che ha contorni storici non precisissimi ma non ci sono dubbi che sia accaduto, ed è un fatto che ha un’attualità fortissima.Antonio a un certo punto della sua vita è un naufrago, ma vive l’esperienza dell’accoglienza dei suoi confratelli.A me piace l’idea che si possa anche naufragare da qualche parte dove non conosci personalmente nessuno ma sai che ci sarà qualcuno che ti accoglierà. E oggi questa esperienza è sempre più rara.