M.Michela Nicolais
“Spendi il massimo delle tue energie per convertire gli adulti al loro compito educativo; insegna a tutti ad onorare la vocazione all’adultità propria di ogni essere umano; riscopri la centralità del terzo comandamento; insegna a pregare, sempre; credi di più nella Bibbia; esci dagli schemi e pensa per singolarità; unisci sempre sacramenti e carità; scommetti sulla creatitivà digitale delle nuove generazioni; impara dai monaci l’arte del silenzio e della contemplazione; abbi sempre molto chiaro in mente cosa significhi essere adulto credente nel contesto specifico in cui ti trovi a lavorare”. E’ il “decalogo di pastorale giovanile vocazionale” formulato da don Armando Matteo per “dare volto e forma a quel sogno di una Chiesa inquieta che papa Francesco ha voluto condividere e consegnare ai cattolici italiani riuniti a Firenze nel novembre 2015”. Il punto di partenza: alla Chiesa italiana mancano all’appello in primo luogo i ragazzi e i giovani, oltre alle donne. Abbiamo intervistato don Matteo prendendo spunto dal prossimo Sinodo dei giovani e dal suo nuovo libro, “La Chiesa che manca”, che fa parte della collana “Evangelli gaudium” del Gruppo editoriale San Paolo, presentata al Salone del Libro di Torino alla presenza di mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei.
Non più giovani “contro”, ma giovani “senza” Dio: condivide la fotografia dell’universo giovanile contenuta nel Documento preparatorio del Sinodo?
È certamente una fotografia che ritrae bene i giovani italiani, la grande maggioranza dei quali non si pone contro, ma sta imparando a vivere senza il Dio del Vangelo e senza la Chiesa. Nei giovani del nostro Paese la religione rimane quasi sempre e quasi solo come una sorta di “rumore di fondo”, pur avendo per lunghi anni frequentato la parrocchia, gli oratori, le associazioni, i movimenti e l’insegnamento della religione a scuola.
Insomma dopo 1000 minuti di prediche, 5000 minuti di catechismo e 500 ore di religione a scuola, nella maggior parte di loro la religione non incide quasi per nulla sul processo di creazione della propria identità adulta.
Questo dato è anche il risultato di una “latitanza” della generazione adulta?
La vera domanda per la Chiesa è in Italia è:
sono ancora presenti nelle sue parrocchie, nei suoi movimenti, e nelle sue associazioni, adulti credenti?
La generazione adulta con la quale i nostri giovani e ragazzi hanno oggi da relazionarsi è sempre di più una generazione che non vive affatto la propria elementare vocazione all’adultità e alla responsabilità generativa. Rinnega, cioè, completamente l’identità strutturale dell’adultità, che è quella di sapersi dimenticare di sé in vista della cura d’altri. È infatti proprio l’attuale generazione adulta che ha inventato e che continua abbondantemente a coltivare il mito della giovinezza, del rinnovamento continuo, del cambiamento, dell’efficienza a tutti i costi, della grande salute, della prestanza sessuale ad ogni stadio della vita, del godimento, della libertà come disponibilità ad una continua rinegoziazione di ogni scelta esistenziale e quindi della messa al bando del “per sempre” di ogni possibile decisione. Se è vero che si diventa adulti guardando gli adulti, allora la situazione oggi è particolarmente drammatica.
Cosa comporta, tutto questo, per la pastorale giovanile?
Nell’Evangelii gaudium, come si legge al n. 105, il punto d’osservazione del papa a riguardo del lavoro0 con i giovani è decisamente critico. Purtroppo, le sue parole sono lontane dall’aver fatto breccia e presa nella mente e nel cuore non solo di coloro che concretamente si occupano di pastorale giovanile ma forse, più in generale, anche dalla maggior parte degli agenti pastorali. Il cattolicesimo italiano non fa eccezione, continuando a fare ciò che si è sempre fatto in relazione all’azione pastorale rivolta al mondo giovanile. In tale direzione appare dunque molto illuminante quanto suggerisce il Documento preparatorio del prossimo Sinodo: si tratta, cioè, di pensare una pastorale giovanile che sappia tenere conto del suo nativo sbocco vocazionale.
È questa, dunque l’ora di una pastorale giovanile vocazionale.
Senza questo cambio di prospettiva, la pastorale giovanile che oggi si continua a proporre correrà il rischio di allentare la tensione dell’intera comunità ecclesiale nei confronti dell’universo giovanile e di non sollecitarne il protagonismo.
L’auspicio, anche in vista del prossimo Sinodo, è quindi quello di una “presa in carico” collettiva dei giovani?
Nell’ottica del Documento preparatorio del Sinodo, è a tutta la comunità che sono affidati i giovani, che vanno affiancati nella loro fatica di crescere in un tempo in cui gli adulti non sono più quelli di una volta. Alla luce delle indicazioni contenute in Evangelii gaudium, si può senz’altro affermare che ciò che papa Francesco chiede alla Chiesa che è in Italia è la disponibilità ad intraprendere, con un nuovo slancio missionario, un’efficace
conversione dell’azione pastorale spicciola,
che renda sempre più “abitabile” questa Chiesa dai tanti uomini e dalle tante donne, giovani e adulti, che oggi mancano all’appello.
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