Galileo Galilei è spesso presentato dalla storiografia come un personaggio in discontinuità con il pensiero scientifico del suo tempo, soprattutto perché egli avallò la teoria eliocentrica, ribaltando quella geocentrica, allora ritenuta come vera. I libri di storia lo presentano sovente come un paladino della scienza e del libero pensiero che si erge contro la barbarie oscurantista promossa dalla Chiesa Cattolica che, effettivamente, lo condannò il 22 giugno 1633.
Tuttavia se si procede ad una analisi più attenta dei suoi scritti si noterà che le cose non stanno esattamente in questo modo. Il filosofo medioevale Bernardo di Chartes diceva che noi siamo nani sulle spalle dei giganti, cioè che possiamo vedere lontano perché siamo innestati in una tradizione, in una storia che ci spianano la strada verso il futuro. È successo così anche per Galileo Galilei che deve gran parte delle sue intuizioni al suo back-ground cristiano. Come scriverà lo stesso scienziato al termine della sua vita, non si troverà mai nei suoi scritti qualcosa che devia dall’insegnamento della Chiesa. In effetti, la sua visione si pone in continuità con esso, come cercheremo di dimostrare.
Innanzitutto Galilei riprende e sviluppa la teoria eliocentrica dallo scienziato polacco Niccolò Copernico. È poco noto, ma Niccolò Copernico era un ecclesiastico e dedicò la sua opera De revolutionibus orbium coelestium del 1543 nella quale sosteneva la teoria eliocentrica (a sua volta ripresa dal filosofo greco Aristarco di Samo e che dallo scienziato polacco prende anche il nome di “copernicana”) al Papa Paolo III. Dunque, al contrario di quanto comunemente si pensa, la teoria eliocentrica non è nata né fuori, né contro la Chiesa.
A Galilei si attribuisce generalmente la frase “la bibbia ci insegna come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo” con la quale si intende distinguere, come si direbbe oggi, l’ambito di competenza del testo sacro: la bibbia è un testo religioso, spirituale e non scientifico. Tale validissima affermazione però appartiene al Cardinale Cesare Baronio, come Galilei stesso scrive nella lettera A Madama Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana del 1615: “Intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado (= il Cardinale Baronio appunto, ndr), l’intenzione dello Spirito Santo essere d’insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo”.
Per Galilei tanto la Sacra Scrittura quanto la Natura provengono dallo stesso Dio. A tal proposito, Galilei nella sua Lettera a Benedetto Castelli del 1613 scrive che procedono “di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella (la Sacra Scrittura, ndr) come dettatura dello Spirito Santo, e questa (la natura, ndr) come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio”. È come se Sacra Scrittura e Natura costituissero due libri attraverso i quali Dio si fa conoscere. Ma anche qui Galilei ragiona secondo il patrimonio dottrinale già acquisito dalla Chiesa Cattolica. Infatti, già Sant’Agostino aveva parlato della metafora dei due libri: “Sia il tuo libro la pagina divina (la Sacra Scrittura, ndr) che devi ascoltare; sia il tuo libro l’universo (la Natura, ndr) che devi osservare. Nelle pagine della Scrittura possono leggere soltanto quelli che sanno leggere e scrivere, mentre tutti, anche gli analfabeti, possono leggere nel libro dell’universo”.
Per quanto riguarda il libro della Natura, Galilei sostiene che esso sia scritto in linguaggio matematico e così si esprime ne Il Saggiatore: “La filosofia naturale è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, io dico l’universo, ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua e conoscer i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto”. Ma anche questo modo di intendere la Natura si innesta nella visione del mondo propria della Chiesa. Già San Bonaventura da Bagnoregio così aveva scritto nell’Itinerarium mentis in Deum: “Tutte le cose sono belle e in certo senso piacevoli; e la bellezza e il piacere non sono senza la proporzione; e la proporzione è prima di tutto nei numeri. Perciò è necessario che tutte siano costituite di numeri. Perciò il numero è la prima idea esemplare nella mente del Creatore e il principale vestigio che, nelle cose, rimanda alla Divina Sapienza”.
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