Maddalena MalteseSono 40 milioni le persone che vivono in stato di povertà
assoluta negli Stati Uniti e sono ben 18,6 milioni quelle che vivono in estrema povertà, mentre 5,3 milioni sperimentano condizioni di vita pari al Terzo Mondo. La nuova riforma delle tasse e la deregulation applicata dall’amministrazione Trump nel campo finanziario, medico, ambientale e del welfare rischia nei prossimi anni di aggiungere alla statistica altri 20 milioni di bisognosi. Dall’altra parte della barricata sta l’1 per cento della popolazione Usa che possiede il 38,6 per cento della ricchezza nazionale e annovera tra i miliardari del mondo una crescita del 25 per cento di americani. Sono questi alcuni dei dati, inseriti nel “Rapporto sulla povertà e i diritti umani”, presentato nella sessione di giugno del Consiglio dei diritti umani dell’Onu, che hanno portato a definire gli Stati Uniti “una delle società più ineguali tra i Paesi sviluppati”.
Philip Alston, docente di diritto internazionale alla Scuola di legge dell’Università di New York, è l’esperto indipendente nominato dal Consiglio dei diritti umani Onu che nel dicembre 2017 ha visitato diversi Stati americani, incontrato rappresentanti politici e della società civile, esperti e studiosi, persone povere e stilato il rapporto che ha portato gli Usa a lasciare il Consiglio, pochi giorni prima della sua presentazione ufficiale, il 22 giugno.
Gli americani, secondo l’Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo, hanno aspettive di vita più basse rispetto ad altri Paesi con una democrazia ricca, sono tra i più ammalati, con il più alto tasso di obesità e non considerano il diritto alla salute, alla nutrizione e alla protezione sociale tra i diritti umani fondamentali dei suoi cittadini.
Lo stesso vale per l’istruzione, inserita tra i diritti costituzionali eppure non accessibile ad alti livelli per alcune classi sociali.
Il rappresentante Onu si mostra particolarmente preoccupato per l’incidenza che la riforma delle tasse avrà sul welfare del Paese, perché ad essere tagliati saranno soprattutto i programmi sociali e di assistenza che in questo modo garantiranno “migliori standard di vita solo a pochi e che senza una redistribuzione equa dei benefici ci sarà un impoverimento generale che minerà la crescita di tutti i settori e trasformerà il sogno americano nell’illusione americana”.
Il rapporto in sei capitoli analizza i vari volti delle povertà e le responsabilità delle politiche messe in atto dalle varie amministrazioni, riportando successi e insuccessi, e conclude con cinque raccomandazioni che invitano a considerare le discriminazioni legate allo stato di povertà, la situazione critica della classe media, i danni prodotti dall’estrema ineguaglianza, il diritto alle cure sanitarie, le conseguenza del taglio delle tasse.
Nella narrativa americana i poveri vengono spesso definiti in contrasto con i ricchi: questi ultimi sono industriosi, imprenditori, patriottici e leader di successo in economia; i primi invece sono spreconi, perdenti, truffatori, per lo più afro-americani, ispanici o immigrati in generale.
La realtà, oltre la narrativa, mostra invece che i poveri “bianchi” sono 8 milioni in più degli afro-americani e la povertà non esime gli asiatici e tutte le altre etnie presenti nel Paese e a certificarlo sono le statistiche dell’Ufficio statistico nazionale.
Il rapporto sottolinea che “non esiste una ricetta magica per eliminare il problema”, ma al contempo denuncia “che lo stato di povertà persistente è una scelta politica fatta da chi detiene il potere e se ci fosse una reale volontà politica, il disagio potrebbe essere eliminato”. Alcune di queste sottolineature hanno fatto infuriare l’ambasciatore americano presso l’Onu, Nikky Halley, che ha definito “palesemente ridicolo” l’esame delle Nazioni Unite soprattutto per aver paragonato l’impegno presidenziale a quello di “governi che abusano consapevolmente dei diritti umani e causano dolore e sofferenza”.
Eppure l’inviato delle Nazioni Unite non ha fatto altro che raccogliere dati su situazioni note agli organi federali e statali e ha investigato pubblicamente le misure che le politiche governative continuano ad ignorare. Alston sottolinea che le ineguaglianze rischiano di minare l’assetto democratico del Paese e spiega che negli Usa solo il 55,7 per cento della popolazione si reca a votare, mentre circa 6 milioni di afro-americani sono privati del diritto di voto per aver commesso infrazioni contro la legge che li portano ad essere criminali privi di qualunque diritto civile. Sebbene una procedura consenta di riacquisire il diritto al voto, in pochi la perseguono per le lungaggini burocratiche e per la dislocazione degli uffici competenti in materia, talvolta molto distanti dai distretti poveri e senza mezzi pubblici in grado di raggiungerli.
Un’enfasi tutta particolare è riservata a uno dei cavalli di battaglia della corrente amministrazione che sostiene l’aumento dei posti di lavoro, anche per persone poco qualificate.
Anche se le statistiche rendono ragione delle dichiarazioni, in realtà il mercato del lavoro per queste persone e per i diversamente abili è estremamente limitato, anzitutto per l’impiego della robotica e della tecnologia che mostra chiaramente un’incidenza sulla forza lavoro umana e poi per l’entità degli stipendi che non consento di accedere a cure mediche ed elevati gradi di istruzione. Il rapporto cita il caso della multinazionale Walmart, proprietaria di grandi magazzini e ipermercati alimentari, i cui dipendenti pur lavorando a tempo pieno non riescono a sostenersi senza ricorrere ai buoni alimentari del governo. La catena ha usufruito del taglio di tasse voluto dall’amministrazione Trump e ha promesso di spendere 700milioni di dollari per incrementare i salari e i benefici sanitari per i dipendenti, ma questo affidarsi alla buona volontà e all’altruismo delle aziende non è sufficiente a garantire una diminuzione delle frodi sociali sull’utilizzo del programma alimentare governativo e non abbassa il livello delle ineguaglianze che affligge particolarmente
i bambini: sono il 18 per cento dei poveri del Paese e il 31 per cento sono bianchi e non afroamericani, come ordinariamente si crede.
Nel rapporto si sottolinea anche l’ineguaglianza di genere che affligge le ragazze madri, i cui figli vivono spesso con 2 dollari al giorno, e le diseguaglianze dei popoli nativi la cui speranza di vita è esattamente la metà del resto del Paese. La relazione si conclude evidenziando la criticità di un gabinetto di governo i cui membri possiedono circa 4,3 miliardi di dollari e che difficilmente potranno occuparsi delle ineguaglianze ma rischiano al contrario di minare “il benessere della democrazia Usa”.