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Tutto quello che Facebook sa di te, ma tu probabilmente non sai

Paola Dalla Torre

Tutto quello che Facebook sa di te, ma tu probabilmente non sai, ora è nero su bianco. Si trova nelle 454 pagine che il social ha presentato qualche mese fa al congresso degli Stati Uniti, per rispondere alle oltre duemila domande che esponenti della Camera e del Senato hanno rivolto a Mark Zuckerberg dopo lo scandalo di Cambridge Analytica. Un documento che aiuta a capire quali informazioni Menlo Park colleziona di noi e che poi, stando a nuove accuse, condivide con una serie di produttori di telefoni. Anche oltre quelle di cui possiamo già farci un’idea scaricando la copia dei nostri dati: dai post, analizzati tramite intelligenza artificiale, alla posizione, passando per la cronologia delle chiamate, i messaggi, le foto.
Abbiamo lo smartphone scarico? Noi possiamo non accorgercene. Ma il social lo sa in tempo reale perché traccia i cambiamenti hardware su ogni dispositivo che ne supporta i servizi: categoria che include non solo i telefonini, bensì computer, tv e oggetti smart. Un monitoraggio che Menlo Park sfrutta per capire quanta carica prosciugano le proprie app, tuttavia può essere utilizzato anche per capire i nostri spostamenti online, come ha dimostrato una ricerca della Princeton University nel 2016.
Allo stesso modo, Facebook conosce quanta memoria abbiamo a disposizione, che tipo di hardware e software stiamo usando, e qual è la velocità della nostra connessione: non stupitevi, quindi, se vedrete comparire la pubblicità di un’offerta dati vantaggiosa quando state navigando lentamente. Ma il social non si limita al nostro dispositivo, va oltre, racimolando dati sugli oggetti connessi che stanno usando lo stesso wi-fi, o ci sono vicini per creare prodotti “personalizzati e importanti per noi”. L’obiettivo è mettere in piedi un ecosistema che vorrebbe inglobare dall’e-commerce (Marketplace) al dating online, annunciato durante l’ultima conferenza dedicata agli sviluppatori.
Un capitolo a parte riguarda le applicazioni: quali sono quelle che abbiamo installato, come le usiamo e per quanto tempo. Un ruolo fondamentale in questo senso lo svolge Onavo Protect, app israeliana acquistata da Facebook nel 2013. In teoria, il suo obiettivo è proteggere la navigazione tramite un virtual private network (Vpn). In pratica, chi la scarica cede al social dati anonimi e aggregati sulle sue abitudini online. Oggi conta 33 milioni di utenti, anche al di fuori dal social.
Una mossa che consente a Zuckerberg di conoscere in anticipo quali sono i suoi avversari e di contrattaccare: o comprandoli, come nel caso di WhatsApp; o copiandoli, sorte toccata a Snapchat. Forse non è un caso se proprio quando il Pew Research Center ha documentato il successo di YouTube tra i più giovani (tallone d’Achille della piattaforma), Facebook ha annunciato un contenitore Instagram per i video di lunga durata.
C’è poi un catalogo quasi sterminato di notizie che ci riguardano e di cui, in parte, siamo abbastanza consapevoli. Anche se vederle tutte insieme fa sempre un certo effetto: si va dal registro delle chiamate e dei messaggi inviati (non solo tramite Messenger, anche via WhatsApp, nonché attraverso il nostro operatore mobile) alla posizione. Ci sono i post letti con più attenzione, inclusi commenti. Ci sono le foto condivise, quando sono state scattate e dove. Un calderone dentro cui possono finire pure le immagini non postate sul social, se non è stata disattivata la sincronizzazione tra la galleria del device e Facebook.
A leggere tutti insieme questi dati un senso di inquietudine non può non assalirci: George Orwell e il suo Grande Fratello sono più attuali che mai.

Redazione: