“Non penso che la catastrofe ecologica sia davanti a noi a breve termine. Però è necessario porsi il problema urgentemente. Altrimenti arriverà il momento in cui non avremo più tempo”. Mons. Fabiano Longoni, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, ha da pochi giorni concluso i lavori del Seminario estivo per direttori diocesani di pastorale sociale che si è tenuto sulle montagne bellunesi di Arabba ed è stato dedicato alle “motivazioni e alleanze responsabili” sul tema della sostenibilità a tre anni dalla Laudato si’.
Senza alleanze non si può procedere. È fondamentale fare riferimento ai 17 goals dello sviluppo sostenibile 2030 promossi dalle Nazioni Unite. Ci alleeremo con coloro che perseguiranno questi obiettivi, facendo di volta in volta i necessari distinguo sui contenuti: scientifici, etici e morali. Le alleanze sono fondamentali già a livello diocesano, per questo invitiamo a conoscere alcuni soggetti territoriali che condividano i valori in cui crediamo.
Come si può coniugare lo sviluppo sostenibile con una società che ha sempre più bisogno di risorse?
La crescita economica si basa su risorse illimitate, mentre lo sviluppo è la capacità di integrare obiettivi sostenibili con la crescita umana. Rispettosa dell’integrazione tra uomo e natura. Cosa che il Papa richiama continuamene, invocando un cambiamento di paradigma per quel che riguarda l’economia e l’ambiente. L’ecologia integrale deve diventare generatrice di futuro. In questo senso la protezione della vita dal suo apparire fino alla morte naturale sono parte integrante del generare futuro.
Che ruolo hanno i giovani in questo cambiamento di paradigma?
La responsabilità sono equamente condivise tra le generazioni. I giovani possono dare un contributo importante grazie alla loro capacità innovativa e in ragione del fatto che il problema è centrale per la loro stessa permanenza su questo pianeta.
Il rischio è alto e le conseguenze dello sfruttamento oggi cominciano ad apparire evidenti.
Gli adulti, invece, hanno una responsabilità moltiplicata perché molti dei problemi attuali sono stati causati da una loro mancanza di visione.
Nel trovare nuove soluzioni a questioni che coinvolgono tutti, l’azione della Chiesa è importante per modificare la mentalità diffusa?
Dobbiamo passare dalla logica della paura a quella della fiducia e della speranza, dalla modalità dei “tifosi” di soluzioni ideologiche a quella di accompagnatori e propulsori del popolo, che ci sembra disposto, se adeguatamente motivato e sorretto, a cambiare stili di vita per fare scelte sempre più sostenibili. Serve al fondo di ogni educazione un maggiore ottimismo antropologico sull’uomo, sul suo destino di custode e artefice di salvezza per sé e per le altre creature. Ma
il cambiamento degli stili di vita deve diventare sempre più una esperienza popolare, non di élite,
che inizia dalla conversione personale ma deve aprire a quella comunitaria e istituzionale.
L’automazione può marciare al fianco dell’occupazione e della dignità del lavoro?
Le macchine non sono nostre rivali, ma possono essere di aiuto. Se metto al centro l’uomo, però, devo sviluppare algoritmi che permettano all’uomo di avere una posizione dominante sulla robotizzazione e sull’industria 4.0. Anche gli Stati europei stanno prendendo molto sul serio la questione. Come comunità cristiana crediamo che sia fondamentale trovare un equilibrio.
Non dobbiamo andare verso il luddismo, perché il cambiamento può essere positivo anche dal punto di vista della produttività. Come è successo nelle altre rivoluzioni, a una difficoltà iniziale seguirà una compensazione del sistema che dovrebbe essere soprattutto in senso ecologico.
Le risorse che oggi investiamo in una crescita illimitata, dovremmo renderle disponibili per una crescita equilibrata che permetta la permanenza dell’uomo sulla terra. Dobbiamo deciderlo oggi.