Le armonie della musica senegalese dello “Mbalax”, sdoganato nel panorama musicale mondiale con la canzone “7 Seconds” realizzata da Youssou N’Dour e Neneh Cherry, sembra quasi quel ritmo tribale che trasformava i battiti di un tamburo in un messaggio di richiamo per le tribù lontane.
Un grido attraverso le percussioni sul “sabar” che è arrivato anche in Italia, non lasciando indifferenti molte persone che hanno deciso di intraprendere la rotta verso quella parte di Africa, spinte non soltanto dalla compassione ma soprattutto dalla voglia di far risollevare il Senegal investendo sul territorio attraverso chi lo abita.
C’è chi ha deciso di investire sulla realizzazione di pozzi per poter estrarre dal suolo quell’acqua senza la quale il terreno resterà arido, chi si occupa di un orfanotrofio che accoglie bambini altrimenti destinati a vivere di stenti, e chi con la sua associazione ha adottato un villaggio rifornendolo di aiuti utili allo sviluppo di scuole e ospedale.
Sulla costa del Senegal, a 100 chilometri da Dakar sulla strada che va da M’bour a Joal-Fadiouth, sorge l’orfanotrofio “Casa del sorriso”, realizzato e gestito da Alba Carpineti che, dopo aver svolto l’attività di commercialista per 26 anni nella sua terra natale di Urbania, in provincia di Pesaro Urbino, nel 2010 ha deciso di fare un’esperienza di volontariato in un orfanotrofio senegalese.
“Sono arrivata in una grande struttura gestita da una Ong francese a M’bour dove sono rimasta per circa 2 anni – spiega Carpineti -. Durante questo periodo è nata la voglia di fare qualcosa di più”. Così si è messa in moto, fondando l’associazione “Sourires d’enfants” grazie alla quale, supportata da 3 associazioni in Italia (La forza di un sorriso), Francia (La force d’un sourire) e Spagna (La fuerza de una sonrisa) oltre che dai contributi arrivati dall’8×1000 della Chiesa Valdese, è riuscita in tre anni a costruire un piccolo orfanotrofio.
“In ottobre del 2016 è arrivata la prima bambina, Kumba, oggi ci sono 16 bambini, alcuni di questi verranno presto riaccolti in famiglia”, racconta Alba Carpineti descrivendo l’obiettivo del progetto: “sostenere i bambini per il loro primo anno o anno e mezzo di vita, visto che molti di questi sono orfani di madre e quindi famiglie disagiate che non hanno la possibilità economica di gestire alimentazione e cure mediche”.
I bambini ospitati e accuditi dalle 12 persone del personale, tutto interamente reclutato nel villaggio e formato a dovere, vengono affidati alla struttura dal Ministero della giustizia attraverso i servizi sociali e un’ordinanza del Tribunale dei minori che viene cambiata quando il bambino torna nella sua famiglia o viene adottato da una famiglia che ha già conosciuto il bambino o la bambina attraverso un percorso specifico.
“Poter salvare qualche vita è una forte motivazione, visto che alcuni bambini quando sono arrivati erano a grave rischio, non per cattiveria ma per una realtà economica che c’è nel paese”, prosegue l’ex commercialista e racconta le difficoltà affrontate quotidianamente per coprire le spese che per la maggior parte vanno via per latte e stipendi del personale, “l’esperienza nell’orfanotrofio mi ha aperto il cuore e cambiato la vita. Un progetto dal quale non si può tornare indietro”.
In Senegal c’è anche chi ha deciso di investire nella ricerca di quell’elemento che, in una terra arsa dal sole, rappresenta ancor più parte vitale per la sopravvivenza e lo sviluppo: l’acqua.
La differenza tra chi ha l’acqua e chi no ce l’ha la si vede immediatamente muovendosi sul territorio, dove un semplice pozzo trasforma tutto lo spazio circostante da rosso, brullo e polveroso, in una distesa verde con campi coltivati.
“Fare pozzi da queste parti è veramente un’impresa ma mi sto togliendo molte soddisfazioni perché lavori molto per l’agricoltura, in quei posti dove la gente ha veramente bisogno di acqua”, afferma Bruno Bertella, partito da Castelnuovo di Magra e approdato in terra d’Africa nel 2011 con la sua ditta di perforazioni che, ad oggi, ha scavato circa 150 pozzi, superando molte difficoltà tra le quali anche una scorrettezza commerciale arrivata da un italiano come lui.
“Il problema nel reperire l’acqua sono i soldi, perché loro non possono scavare un pozzo che costa tra i 5 e gli 8 milioni di Cfa (7,5mila-12mila euro ndr)”, spiega Bertella che benedice l’impegno di associazioni umanitarie che operano sul territorio con progetti nei quali anche lui offre la sua parte per la realizzazione, “è una felicità nel trovare acqua e nel vedere la gente contenta che organizza feste”
Sono diverse le associazioni che operano in questa parte di Africa, tra queste il “Colibrì” di Giulianova che, come nella favola ispirata a questo uccellino che insegna come, seppur piccoli, insieme si possano fare grandi cose, cerca di fare la sua parte soprattutto nella zona di Sindia. Qui, attraverso l’invio di diversi container carichi di materiale donato da benefattori italiani, hanno ristrutturato e arredato diverse scuole e l’ospedale, quest’ultimo rifornito anche di attrezzatura tecnica, oltre che di un ecografo e un’ambulanza.
“La gioia, la felicità e la gratitudine della gente non si riesce a riportare con le parole”, racconta Ambra Di Pietro, presidente dell’associazione Colibrì, che ha faticato nel far comprendere il suo ruolo in una società particolarmente maschilista, dove si ritrova anche a raccogliere le confidenze di alcune donne alle quali si rivolge prioritariamente per portare avanti la scommessa che hanno iniziato a fare sul territorio attraverso dei progetti di sviluppo agricolo, “La donna è quella che conosce realmente il valore del lavoro. Il loro sorriso amaro di sottomissione, racconta la condizione un po’ sottomessa che, pur non essendo giusta, devono accettare”.
Al suo fianco il collaboratore Egidio Casati che, orgoglioso di essere riuscito grazie ai soci a rimettere in funzione un pozzo ormai dismesso che ora serve la città, confessa, “venire qui ogni anno e vedere un ragazzo disabile che può andare ogni giorno a scuola grazie alla bicicletta che gli abbiamo fatto arrivare dall’Italia mi riempie il cuore”.