Ma quello che chiede Gesù è “solo” un entrare, da parte nostra, in una relazione profonda con lui, una relazione di intimità vera, di comprensione profonda, una relazione che faccia di Gesù e dell’uomo l’uno rifugio dell’altro, l’uno casa dell’altro. Infatti, leggiamo ancora nel Vangelo: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”.
Fare di Cristo l’alimento della nostra vita è garanzia di immortalità, di vita eterna; non la vita per sempre che ci verrà donata come premio del nostro diligente e ineccepibile comportamento, del nostro aver osservato regole, norme e comandamenti, ma la vita che già ora pregustiamo e che non è avviata verso la morte ma chiamata a fiorire in Dio, a stare in Dio a prendere dimora in lui.
Si tratta, ancora una volta, della opportunità e della grazia di scegliere ed abbracciare la vita e non la morte, il bene e non il male, la benedizione e non la maledizione.
«Chi è l’uomo che desidera la vita e ama i giorni in cui vedere il bene?»: è la domanda che si pone e pone a noi il salmista, una domanda che ci chiede di farci avanti!
Sì, perché desideriamo la vita, desideriamo il bene, desideriamo quel cibo e quella bevanda capaci di farci vivere in eterno; desideriamo, come scrive l’autore del libro dei Proverbi, abbandonare l’inesperienza e vivere, andando diritti per la via dell’intelligenza che è la via della fede, della fiducia, del completo abbandono in Cristo Signore.